Economia

Il 2024 è l’anno nero dell’economia tedesca

Inflazione galoppante, crisi energetica e crollo dei consumi: per la prima volta dopo un decennio, la Germania da «locomotiva d’Europa» torna a vivere i brividi della recessione
Credit: Soeren Stache/dpa  

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23 gennaio 2024 Aggiornato alle 16:00

Il nuovo anno non si apre con buone notizie per la Germania, che per la prima volta dopo oltre un decennio di segni positivi e incrementi di produttività - salvo, ovviamente, il 2020 - si ritrova con un Pil negativo, pari a un -0,3%.

Il dato non ha sorpreso più di tanto i funzionari del Destatis - l’ufficio nazionale di statistica - in quanto rappresenta una conseguenza fisiologica della forte fragilità dell’economia tedesca, che da maggio naviga nella recessione tecnica, ossia una situazione di evidente difficoltà che un Paese vive quando per due trimestri consecutivi l’economia nazionale non fa che contrarsi.

Un colpo così evidente, specialmente se paragonato al +1,8% dell’anno scorso e soprattutto al +3,2% raggiunto immediatamente dopo la pandemia, ha come origine una moltitudine di cause interrelate fra loro.

Una combinazione di rincari, che continuano imperterriti a danneggiare il potere d’acquisto delle famiglie tedesche, con un calo deciso e generalizzato dei consumi.

Oltre ai continui aumenti dei tassi di interesse imposti dalla Banca centrale europea proprio per limitare la morsa dell’inflazione, che inevitabilmente hanno avuto l’effetto di frenare ancora di più gli investimenti e le attività industriali.

Va poi puntata la lente di ingrandimento sulla forte crisi energetica che le economie più sviluppate hanno provato sulla propria pelle immediatamente dopo lo scoppio dell’invasione russa in Ucraina.

Una situazione che ha generato ulteriore sconforto in particolare in Germania, da anni legata mani e piedi alla Russia con circa metà di tutte le abitazioni sul suolo tedesco dipendenti proprio dal gas importato da Mosca.

Contemporaneamente, il 15 aprile 2023 il governo guidato da Olaf Scholz spegneva definitivamente le ultime tre centrali nucleari tedesche dopo oltre 60 anni di produzione ininterrotta.

Una chiusura lenta e graduale giunta a compimento proprio nell’ultimo anno, nell’attesa di soddisfare il fabbisogno tedesco con sole fonti rinnovabili, anche se una transizione energetica di questo tipo potrebbe subire forti rallentamenti proprio dalla crisi economica e dall’elevato costo dell’energia.

Come ogni crisi economica, il calo del prodotto interno lordo affonda le sue radici nella difficoltà generalizzata di parecchi settori economici e produttivi.

Nelle ultime settimane le strade tedesche sono state inondate di trattori guidati da agricoltori in rivolta contro i tagli ai sussidi statali annunciati recentemente dalla coalizione ‘’semaforo’’ SPD-Verdi-FDP.

Le manifestazioni hanno raggiunto il loro apice il 15 gennaio durante un confronto diretto tra una folla di manifestanti riunita alla Porta di Brandeburgo e il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, che in un’ondata assordante di fischi e insulti ammetteva : «Non posso promettervi più alcun aiuto di stato dal bilancio federale oggi».

Il fatto che la Germania abbia chiuso l’anno in recessione ci riguarda direttamente.

L’economia tedesca rappresenta ancora il 30% del Pil europeo, e il Paese è il principale partner commerciale di diversi Paesi membri.

Gli economisti tedeschi prevedono un 2024 ancora in difficoltà, confermando il calo dell’anno precedente.

Eppure si tratta di uno scenario da non sottovalutare, ma anzi da osservare con ampio interesse, dato che in un mondo globalizzato e fondato sulle esportazioni, le difficoltà di un player tanto importante come la Germania non può che riguardarci direttamente.

Non a caso, l’export italiano a novembre ha segnato un crollo del 5,4% in Europa trainato proprio dal calo record del 6,4% in Germania, il principale mercato di sbocco per l’Italia, che solo nel 2022 ha venduto alla merci per 77 miliardi importandone per 90.

Non c’è altro da fare che incrociare le dita e sperare che lo Stato tedesco si rimetta sui binari giusti, in linea con il titolo di “locomotiva” riconosciutogli dopo decenni di grandi risultati, e non ritorni a essere ciò che alla fine del secolo scorso il settimanale britannico The Economist giudicò come il “vero malato d’Europa”.

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