Economia

L’imprenditoria straniera è in crescita: +10% in 5 anni

Nel 2023 si sono aggiunte più di 20.000 aziende, arrivando a quota 657.000; i settori maggiormente coinvolti: agricoltura e allevamento
Credit: Emmanuel Ikwuegbu 
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9 gennaio 2024 Aggiornato alle 08:00

L’imprenditoria in Italia diventa sempre più multietnica. A certificarlo sono i dati Unioncamere-InfoCamere aggiornati al 30 giugno 2023 sulle imprese straniere iscritte al Registro delle imprese delle Camere di commercio, che nell’ultimo anno sono arrivate a quota 657.000 (di cui oltre 20.000 nel solo 2023), con una crescita pari al 10% rispetto a 5 anni fa.

Numeri in netta controtendenza con il calo del 3% delle attività gestite da italiani, che assistono a una sempre più consistente presenza di imprenditori di origine straniera lungo tutto il tessuto economico produttivo del Paese, dalle costruzioni alla manifattura, passando per le attività di alloggio e ristorazione, fino all’intrattenimento e il commercio all’ingrosso e al dettaglio, che insieme alla riparazione di veicoli e motocicli segna la maggiore presenza di imprese straniere (oltre 200.000).

Fra i vari settori di riferimento, Coldiretti (la principale associazione di rappresentanza e assistenza dell’agricoltura italiana) attesta una presenza particolarmente rilevante di imprese straniere proprio nell’ambito dell’agricoltura e dell’allevamento. La tendenza positiva in questo caso si concretizza in una crescita del 28%, l’incremento più massiccio registrato negli ultimi 5 anni. Segno di una maggiore integrazione da parte delle comunità di immigrati, capaci di immergersi a pieno nell’economia italiana diventandone una risorsa essenziale.

Il tutto passa attraverso un settore, come quello agricolo, che ha visto e vede nella presenza straniera il suo motore più grande. Stando alle analisi elaborate da Coldiretti e dal dossier statistico immigrazione a cura del Centro studi e ricerche Idos, sono infatti 362.000 i lavoratori dipendenti provenienti da tutto il mondo (in particolare Romania, Marocco e Albania) regolarmente occupati nel settore dell’agricoltura, con un contributo pari al 32% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore nel 2022. Un apporto di forza lavoro talmente importante da riuscire a produrre quasi un terzo di tutto il raccolto che dai campi italiani finisce direttamente sulle tavole.

Per ragioni tecniche legate alle condizioni climatiche che influenzano la crescita delle piante e dei raccolti, ma anche della domanda di prodotti agricoli, si tratta principalmente di lavoro stagionale, di cui le aziende agricole italiane si servono nei momenti di picco (specialmente nei mesi estivi) delle attività come semina, raccolta e lavorazione dei prodotti.

Nonostante Coldiretti descriva questo processo come un elemento essenziale del settore, garantito da lavoratori che tornano “anno dopo anno con reciproca soddisfazione”, il tema del lavoro stagionale nei campi è ancora fortemente dominato dall’insidioso problema del caporalato, ossia di sfruttamento lavorativo illegale basato sull’intermediazione illecita di manodopera.

Un fenomeno in crescita soprattutto nelle regioni del Sud, in cui il tasso di lavoro irregolare supera il 40%, e dove parallelamente si assiste a una minore presenza di imprese gestite da persone di origine straniera. Le province con incidenza di crescita più bassa infatti sono in Puglia, che dopo Foggia, Taranto e Bari sprofonda al 2,5% nella zona di Barletta-Andria-Trani.

Al contrario, il 31% delle imprese straniere è stabilito in Lombardia, mentre la provincia nettamente più popolata è Prato, che domina la classifica con il primato assoluto con il 32,7% di imprese straniere seguita poi da Trieste (20,1%) e Firenze (18,3%).

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