Ambiente

Tradizioni di montagna. O forse no

Ti sembrerà strano ma, anche a causa del turismo di massa e di logiche di marketing, difficilmente ciò che mangiamo in alta quota appartiene alla cucina locale
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5 gennaio 2024 Aggiornato alle 06:30

Settimana bianca quest’anno? Avete visto che servono ostriche, avocado e salmone in alta quota? Ma che fine ha fatto la buona cucina locale e tradizione di montagna? Perché noi vogliamo sostenerla per mangiare sostenibile! O forse no?

Quella che mangiamo in alta quota, difficilmente è tradizione locale. Mi riferisco a spezzatino di capriolo, ragù di cinghiale, fonduta, bresaola Igp, lo speck dei canederli e tutto il resto… crediamo che si tratti sempre di cucina sostenibile, locale e tradizionale?

Si forse qualcuno di questi piatti era “cibo tipico”, anni fa, quando si viveva di necessità e sussistenza, poi è arrivato il marketing e poi il turismo di massa. Non si fa più la caccia di Rigoni-Stern.

Facciamo caso alle orde di turisti che invadono le località alpine in estate e in inverno, che a colazione, pranzo e cena si mettono nel piatto animali e prodotti animali vari. I numeri di questi consumi parlano da soli: non possono in nessun modo essere riconducibili a piccole filiere locali e “sostenibili”.

Come lo so? Beh, vogliamo credere che si possa servire maiale tutto il giorno per stagioni intere a migliaia di persone e che tutto lo speck nei canederli provenga dalle piccole malghe dei contadini che sacrificano giusto quei due maiali l’anno e non buttano via niente? La vedo dura, veramente dura.

Vogliamo poi parlare dei “tipici” mercatini di Natale? Un tripudio di Gulash, Bratwurst, formaggi e abbigliamento in lana merino. Questi animali e questi derivati animali provengono principalmente da Paesi lontani e da filiere industriali.

Guardiamo qualche esempio insieme.

Pensiamo che lo stufato di camoscio e il ragù di cervo siano un piatto tradizionale? Forse il piatto in sé sì, ma ha senso parlare di pietanze tradizionali se le filiere non lo sono? Quanto è tradizionale un prodotto le cui materie prime sono allevate in un certo modo anziché cacciate e che hanno fatto il giro del mondo anziché venire da dietro casa?

Quanto è tradizionale mangiare animali e derivati nelle quantità e velocità con cui lo facciamo noi? Quanto è tradizionale non curarsi della ritualità ma soprattutto, quanto ha a che vedere con la cultura, e la cultura culinaria, non mettere in discussione i riti quando tutto intorno a questi è cambiato nel tempo?

Oggi la Nuova Zelanda è il più grande esportatore mondiale di carne e prodotti di cervo. Le carni di questi animali arrivano sino ai nostri piatti. Praticamente è tipico delle Dolomiti come mangiare carne di canguro o Angus australiano.

Qualcuno dirà: “Ma naturalmente li cacciano, perché sono troppi, perché sono una specie invasiva!”. Beh, no, vengono allevati apposta e se non vengono da lì provengono anche da altri paesi europei.

E la bresaola Igp della Valtellina? È fatta principalmente con carne di zebù, un bovino con la gobba allevato nelle grandi praterie del Sud America.

Le carni di cinghiale? Siamo sicuri che vengano da animali cacciati localmente, o la maggior parte proviene dall’estero, in particolare dai paesi balcanici? Quanti degli animali abbattuti in Italia va nel circuito nero dove non c’è verifica del fornitore, della forma di caccia, della corretta macellazione o frollatura? Quanti cacciatori riforniscono la ristorazione o i privati, senza tracciabilità e senza i requisiti?

Molto di quello che mangiamo in alta quota non fa capo alle tradizioni di montagna e anzi, non la aiutano.

Di “montagna” c’è solo una montagna di sfruttamento animale ben nascosto da care vecchie narrazioni che parlano di “tradizioni” e “specialità da gustare”.

Peccato che di tradizionale non ci sono gli animali, né le filiere, né le ritualità e quantità con cui venivano cacciati, allevati e consumati in passato, in luoghi dove l’agricoltura era difficile. Non c’è nulla di tutto questo, solo tanto marketing. Il turista, oggi, paga caro per mangiare animali serviti con bugie e tante domande.

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