Economia

L’eolico off-shore è in crisi?

La danese Ørsted ha lanciato Hornsea 3, ma in 9 mesi ha subito una svalutazione di 3,8 miliardi di euro e ha dovuto annullare 2 importanti progetti in Usa. Ma tutto il settore sta attraversando una fase di stallo
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28 dicembre 2023 Aggiornato alle 12:00

Ørsted, la multinazionale quotata in borsa a Copenaghen, ha annunciato il progetto “Hornsea 3”, parco eolico off-shore dalla capacità prevista di 2,9 GW al largo della costa dello Yorkshire, che sarà in grado di fornire energia a circa 3,3 milioni di case. Il costo stimato si aggira tra 70-75 miliardi di corone danesi (all’incirca 10 miliardi di euro).

Le fondazioni della Hornsea saranno realizzate dallo stabilimento della società sudcoreana SeAH a Teesside, nel nord-est dell’Inghilterra, in fase di costruzione. Si prevede che il parco eolico sarà completato intorno alla fine del 2027, creerà fino a 5.000 posti di lavoro durante la fase di costruzione. Aggiungerà 1.200 posti permanenti “sia direttamente che nella catena di fornitura nella lunga fase operativa”, ha affermato la società. Sarà il terzo progetto gigawatt di Ørsted nell’area di Hornsea, gestito da Grimsby.

Duncan Clark, capo delle operazioni di Ørsted nel Regno Unito, ha affermato che il parco eolico è «strategicamente molto significativo per l’azienda; lo abbiamo nel mirino da molto tempo».

Ørsted aveva sollevato dubbi su Hornsea 3 a marzo, quando aveva chiesto al governo britannico maggiore sostegno per aiutare il gruppo a far fronte all’aumento dei costi, guidato dall’aumento dei tassi di interesse e dalle tensioni nella catena di approvvigionamento. Il progetto è stato tra i 5 a vincere contratti con il governo del Regno Unito nel luglio 2022, garantendo un prezzo dell’elettricità legato all’inflazione a partire da 37,35 sterline per MWh ai prezzi del 2012.

“L’eolico offshore è un mercato globale estremamente competitivo, quindi accogliamo con favore anche il regime politico nel Regno Unito che ha contribuito a garantire questo investimento”, ha affermato in una nota l’amministratore delegato di Ørsted Mads Nipper.

Gli analisti di Bernstein prevedono un tasso di rendimento interno pari al 7-7,5%. Alla chiusura del mercato, le azioni del gruppo sono aumentate del 3% arrivando a 371 corone danesi, anche se rimangono in ribasso di oltre il 40% dall’inizio dell’anno.

Nel terzo trimestre del 2023 la società danese ha infatti chiuso con una perdita netta di 22,6 miliardi di corone danesi (3 miliardi di euro circa) contro un utile di 9,35 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno, con ricavi quasi dimezzati a 19 miliardi. Nei primi nove mesi del 2023, il rosso è ammontato a 19,9 miliardi da un utile di 15,3 miliardi, e il fatturato è diminuito del 33% a 64,8 miliardi. La svalutazione complessiva rilevata ammonta a 28,4 miliardi di corone (circa 3,8 miliardi di euro).

Tra le cause, la decisione di porre termine allo sviluppo dei progetti Ocean Wind 1 e 2 negli Usa, dopo aver già riscontrato le difficoltà del portafoglio americano il 29 agosto scorso, quando aveva previsto una svalutazione di 16 miliardi di corone.

Da allora “ci sono stati ulteriori sviluppi negativi riguardo alle catene di approvvigionamento, all’aumento dei tassi d’interesse e alla mancanza di un Orec (Offshore Renewable Energy Certificate) per Sunrise Wind”. Gran parte della svalutazione (19,9 miliardi di corone) ha riguardato proprio Ocean Wind 1. I due progetti eolici erano previsti al largo del New Jersey e avrebbero dovuto avere una capacità di 2.248 Mw, in grado di fornire energia a un milione di case.

Il mercato off-shore sta attraversando un momento di crisi. Se negli ultimi anni lo sviluppo dei primi impianti off-shore negli Usa ha favorito un breve sviluppo importante, gli effetti del Covid e il rialzo dei tassi d’interesse hanno causato un crollo dell’eolico in America e un rallentamento dell’espansione del settore in Europa.

«Sembra che l’industria dell’eolico offshore abbia fatto offerte aggressive per aggiudicarsi i primi progetti, al fine di prendere piede in un settore nuovo e promettente, prevedendo una forte riduzione dei costi, simile a quella registrata nell’ultimo decennio per l’eolico onshore, il solare e le batterie». Così ha dichiarato a Reuters Eli Rubin, analista del settore energetico. «Invece, i forti aumenti dei costi hanno mandato in tilt il finanziamento e lo sviluppo dei progetti», ha aggiunto, sottolineando che molti contratti saranno probabilmente rinegoziati per le volontà degli stati di decarbonizzarsi, e che i prezzi più alti finiranno per ricadere sui clienti dell’energia elettrica.

Inoltre, molti contratti per progetti eolici offshore non prevedono meccanismi di adeguamento in caso di aumento dei tassi di interesse o dei costi; considerando l’aumento dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve, la conseguenza per molti produttori è stata di uscire dai contratti piuttosto che costruire gli impianti e affrontare difficoltà successive legate a basse rendite o, in casi peggiori, perdite.

BP ha segnalato una svalutazione da 540 milioni di dollari legata ai parchi eolici offshore Empire Wind e Beacon Wind, entrambi negli Usa. In Regno Unito, il megaprogetto eolico offshore, il Norfolk Boreas, nel Regno Unito, da 1,8 GW, è stato cancellato dall’azienda produttrice (Vattenfall), perché i ricavi previsti ormai non riuscirebbero più a coprire le spese necessarie a completarlo.

Secondo Fortune, ci sono circa 9,7 GW di impianti eolici offshore in progetto negli Usa che rischiano di essere cancellati. In Europa, dove l’anno scorso l’eolico ha garantito il 17% del consumo elettrico, l’aumento dei costi di produzione e di gestione sta bloccando l’espansione dei parchi eolici già programmati. E dall’inizio della crisi energetica, i nuovi investimenti si sono contratti in maniera preoccupante.

I problemi del settore nel Vecchio Continente sono anche legati alla dipendenza dalla Cina – che possiede grandi quantità di terre rare quali neodimio e disprosio per la produzione di generatori per le turbine – alle crisi di Siemens Gamesa e Vestas, e alle difficoltà nell’adeguamento delle infrastrutture per il trasporto delle pale eoliche, la cui domanda coincide con modelli sempre più grandi.

Nonostante questo, in Europa nel 2021 le industrie hanno esportato nel resto del mondo turbine per un valore oltre 3 miliardi di euro, mentre l’import è pressoché marginale. Esportiamo soprattutto in Usa e Regno Unito e questa produzione ha permesso finora di accompagnare la crescita dell’intera filiera eolica.

Quello di Ørsted è solo l’ultimo dei casi che mostra come l’eolico in mare sia oggi in una fase di stallo. Un calo di questo settore, importante per la green economy, che se non arginato potrebbe creare insidie al processo di transizione energetica.

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