Ambiente

Aviaria e turismo in Antartide: si teme il peggior disastro ecologico della storia moderna

Il ritrovamento di centinaia di elefanti marini morti non lascia più spazio a dubbi. E a peggiorare la situazione, ci pensiamo noi con i tour organizzati
Credit: Henrique Setim  

L’influenza aviaria è arrivata nel continente bianco e se, dopo aver ucciso centinaia di elefanti marini, riuscirà a raggiungere le popolazioni di pinguini, potrebbe provocare un disastro ecologico che non ha precedenti nella modernità.

Che cos’è l’influenza aviaria

L’influenza aviaria è una malattia virale che colpisce principalmente gli uccelli. I virus a bassa patogenicità responsabili della malattia sono comuni negli uccelli selvatici e spesso non causano alcun sintomo negli individui infettati. Tuttavia, alcuni ceppi, tra cui l’H5 - attualmente in circolazione - e l’H7, sono altamente patogeni (HPAI) per il pollame domestico e possono causare un’elevata mortalità se entrano in contatto con le popolazioni di uccelli selvatici.

L’attuale epidemia di H5N1 è iniziata in Centro e Sud America nel 2022 e ha causato la morte di un gran numero di uccelli marini nell’emisfero settentrionale, nel sud dell’Africa, nell’Oceano Atlantico e Pacifico e in tutto il Sud America - dove ha ucciso circa 20.000 leoni marini tra Cile e Perù - arrivando persino nel remoto arcipelago delle Galapagos dove, fortunatamente, sembra ora aver smesso di mietere vittime.

L’arrivo in Antartide attraverso il Sud America

Ad essere estraneo alla diffusione del virus, fino all’8 ottobre 2023, era il quarto continente al mondo per estensione: l’Antartide, 14 milioni di km² di deserto polare freddo e calotta di ghiaccio.

Poi, H5N1 ha colpito la popolazione di Stercorario antartico - un grosso uccello che può arrivare a pesare anche 2 Kg - a Bird Island, in Georgia del sud e, da quel momento, ha iniziato a diffondersi colpendo i Gabbiani del Kelp, gli elefanti marini e le otarie orsine.

Analisi genetiche sembrano confermare che a portare il virus nel continente sarebbero state alcune specie di uccelli migratori - come i petrelli giganti meridionali e i gufi delle nevi - in arrivo dal Sud America, dove passano alcuni mesi l’anno per sfuggire al freddo e per rifocillarsi. Qui, le temperature rigide fungerebbero da vero e proprio congelatore per il virus, aumentandone il potenziale di sopravvivenza all’interno delle carcasse degli animali deceduti.

La buona notizia è che il virus non è ancora arrivato sulla terraferma risparmiando ecosistemi e specie che vivono in totale isolamento e che, per questo, sono uniche al mondo. Una situazione che potrebbe cambiare presto, complice lo spostamento continuo degli uccelli tra le isole e tra queste e il continente, andando a colpire i pinguini che, in questo periodo in cui si formano le coppie, si riuniscono in grandi colonie e, per questo, sono ancora più vulnerabili al contagio e alla diffusione dell’agente patogeno.

Un’eventualità ancora più drammatica se pensiamo che potrebbe colpire specie come il pinguino imperatore, già estremamente in difficoltà a causa dello scioglimento dei ghiacci e che, negli ultimi anni, sta soffrendo la scomparsa di migliaia di individui.

Il turismo in Antartide: un nuovo virus che sembra non avere freni inibitori

E mentre l’influenza aviaria continua a circolare, minacciando oltre 100 milioni di uccelli nidificanti, sei specie di pinnipedi e 17 specie di cetacei, a diffondersi in Antartide è un altro fattore che potrebbe potenzialmente aiutare il virus a diffondersi: il turismo.

Sebbene si tratti principalmente di un virus che si diffonde tra gli uccelli, e il numero di casi nell’uomo sia estremamente raro, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha osservato che la diffusione dell’attuale ceppo H5N1 tra i mammiferi potrebbe indicare che il virus si stia adattando e possa nel prossimo futuro infettare molto più facilmente anche la nostra specie.

Un’eventualità che dovrebbe auspicabilmente portare quanto prima a un maggiore controllo, se non addirittura a una sospensione delle attività turistiche in Antartide.

Azione che, peraltro, andrebbe discussa anche per gli effetti negativi già comprovati che le 104.897 persone che nella stagione 2022-2023 hanno visitato il continente hanno sulla biodiversità e sugli ecosistemi.

Il turismo verso le zone costiere dell’Antartide è iniziato alla fine degli anni Cinquanta, quando Cile e Argentina trasportavano alcune centinaia di passeggeri a pagamento verso le Isole Shetland Meridionali. Negli anni successivi il settore crebbe così tanto da portare alla creazione di una flotta di navi da crociera di cui la prima, battezzata MS Explorer, venne varata nel 1969.

Tra il 1992 e il 2020, il numero di turisti in arrivo è aumentato di dieci volte e oggi, in un’epoca in cui i social network dettano le tendenze e pilotano le scelte anche in tema di viaggi e vacanze, l’Antartide appare come uno dei luoghi più desiderati.

Instagram pullula di reel e post in cui coppie elettrizzate si tuffano nell’oceano gelido, orde di turisti avvolti in strati di gore-tex dai colori vivaci affollano le spiagge e scattano compulsivamente foto a ogni esemplare animale che capita a tiro, ridacchiando in sottofondo per la quasi totale assenza di timore che questi esemplari dimostrano nei confronti dell’uomo.

Tra gli iceberg spuntano flotte di kayak manovrati da personaggi urlanti, pronti a vere e proprie sfide all’ultimo selfie, mentre osservano la superficie dell’acqua sperando di vedervi affiorare un’orca o una balenottera in compagnia del suo piccolo.

Turismo e biodiversità: un binomio difficile

A regolare le attività in Antartide è il Trattato Antartico, che comprende il Protocollo di Madrid - che detta una serie di regole e buone pratiche a tutela di questo fragile territorio - mentre la gestione quotidiana della regione è in capo all’Associazione internazionale degli operatori turistici dell’Antartide (Iaato).

Tuttavia, è noto che gli interessi del turismo difficilmente vanno di pari passo con la tutela della biodiversità quanto, piuttosto, con il perseguimento di un profitto spesso mascherato da parole che iniziano quasi tutte con “eco”: eco-turismo, eco-crociera, eco-resort, eco-experience, eco-viaggio…

A temere per l’Antartide, ancor più adesso che l’influenza aviaria ne ha varcata la soglia d’ingresso, sono numerosi ricercatori e organizzazioni ambientaliste tanto che la stessa Unione Internazionale per la Conservazione della Natura si dice preoccupata per una serie di impatti che vanno dall’elevata impronta di carbonio, alla distruzione potenziale di habitat e siti di nidificazione, alla diffusione di specie aliene e agenti patogeni - come, per l’appunto, l’influenza aviaria - fino al disturbo della fauna selvatica.

Una recente ricerca, a esempio, ha dimostrato come il continuo afflusso di turisti stia modificando radicalmente il comportamento riproduttivo e sociale delle specie di pinguino che abitano il continente.

Dunque, se è vero che l’istinto dell’uomo è sempre stato quello di esplorare e scoprire nuove terre e nuovi orizzonti, può il desiderio di giocare agli esploratori giustificare la distruzione di uno degli ultimi, veri, luoghi quasi incontaminati del Pianeta?

Leggi anche
Cop28
di Valeria Barbi 6 min lettura
Eco lutto
di Valeria Barbi 7 min lettura