Diritti

Uk: prese di mira le donne che denunciano abusi nell’esercito

Le autrici dello studio pubblicato sul Royal United Services Institute Journal, Harriet Gray, Nicola Lester, Emma Norton, denunciano una cultura “misogina e tossica”, partendo dalle testimonianze di 6 vittime
Credit: EPA/DANIEL IRUNGU
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
28 novembre 2023 Aggiornato alle 12:00

«Quando senti il ​​tuo ufficiale comandare dire: “Bevi troppo […] porti le gonne corte, quindi te lo meriti”, quando qualcuno in una posizione gerarchica […] è seduto di fronte a te e può dire cose del genere , […] ti manda la mente in tilt, metti semplicemente in dubbio tutto […] e quando sei in quello stato di biasimo in cui pensi che sia colpa tua, credi a quello che ti dicono».

Questa è una delle agghiaccianti testimonianze che sono emerse dal nuovo studio pubblicato sul Royal United Services Institute Journal da 3 autrici che hanno voluto riportare le esperienze vissute dalle donne in servizio nell’esercito britannico che hanno subito violenza sessuale. E che, dopo averne parlato o dopo averle denunciate, ne hanno pagato le conseguenze.

La ricerca è stata realizzata da Harriet Gray, docente senior del Dipartimento di Politica e Relazioni Internazionali della University of York, Nicola Lester, un’infermiera specializzata in salute mentale che lavora come consulente per diverse organizzazioni nel Regno Unito e all’estero, Emma Norton, avvocata, fondatrice e direttrice del Centro per la giustizia militare (Cmj), che ha rappresentato molte donne in servizio che hanno subito violenza sessuale. Il Cmj fornisce consulenza e assistenza legale gratuita a chiunque sia statə vittima di abusi, molestie o altre discriminazioni durante il servizio militare.

Dallo studio, il primo accademico empirico sottoposto a revisione paritaria che esplora le violenze subite e denunciate dalle donne in servizio nell’esercito britannico, emerge che la cultura “misogina e tossica” delle forze armate, caratterizzata da un comportamento “machista” modella il modo in cui queste affrontano e comprendono le aggressioni sessuali. E mostra come la cultura militare di genere e le risposte istituzionali alle violenze sessuali “possono causare ulteriori danni alle vittime-sopravvissute, oltre a quelli generati dall’aggressione stessa”.

Le donne che sono state intervistate da Gray nel 2021-2022 sono in tutto 6, reclutate tramite il Center for Military Justice: si tratta di veterane dell’esercito britannico che hanno lasciato l’esercito nei 4 anni precedenti allo studio e che hanno subito violenza sessuale da un militare quando erano in servizio. Al momento dell’aggressione, mentre prestavano servizio nell’esercito, nella Royal Navy o nella Royal Air Force, si collocavano in un’età tra l’adolescenza e i 30 anni.

Per quanto sembri un campione ristretto e circoscritto al Cmj, spiegano le autrici, “non è insolito per questo tipo di ricerca, poiché tali studi non cercano la generalizzabilità statistica”, ma danno “priorità a un’immersione profonda nelle esperienze vissute e, quindi, alla generazione di comprensioni ricche e rigorose di questioni poco studiate”. Inoltre, “tutte le prove suggeriscono che le esperienze negative conseguenti alla denuncia di aggressioni sono un problema diffuso, non limitato a coloro che si rivolgono al Cmj”.

Diversi aspetti confermano le critiche (già sollevate da ricerche precedenti) all’Sjs, il Service Justice System che sostiene e regola il comportamento disciplinare all’interno delle forze armate attraverso i reati di servizio stabiliti nell’Armed Forces Act del 2006 e garantisce che vengano affrontati reati penali più ampi. Tra queste: “la mancanza di formazione, esperienza dimostrata dal personale che si occupa del caso; l’omissione di informarle che avevano il diritto di presentarsi alla polizia civile piuttosto che a quella militare; un enorme senso di frustrazione per il fatto che i colpevoli non hanno affrontato la giustizia”.

Le partecipanti hanno descritto una “cultura della discriminazione di genere”, un ambiente “molto misogino”, un “mondo di uomini” e un clima “laddish”, che potremmo tradurre con machista e immaturo. Una testimone ha raccontato che gli uomini scherzavano su come le donne avrebbero dovuto preparare la colazione e fare il bucato, in un ambiente denso di battute sessiste.

“La cultura iper-maschile e sessualizzata dei militari è stata considerata cruciale anche ai fini del reclutamento e della motivazione degli uomini a combattere - scrivono le autrici - la loro cultura dello ‘scherzo’ è vista come fondamentale per mantenere il morale e per rafforzare i legami tra le unità; la denigrazione delle donne (anche quando ufficialmente contraria ai codici, ai valori e agli standard istituzionali) è stata consentita e resa possibile ‘a causa del suo valore percepito nel sostenere la cultura egemonicamente maschile’”.

I militari che circondavano queste donne erano “dotati di ’una massiccia cultura dello stupro’”, che “alimenta una situazione in cui la violenza sessuale è ampiamente fraintesa e le survivors incontrano comunemente atteggiamenti di colpevolizzazione della vittima”. Una di loro, infatti, dopo aver subito un tentativo di stupro da parte di un militare, è stata accusata di averlo indotto perché «stavo cercando di risolvere una discussione tra lui e un amico […] dicendo “beh, sei un bravo ragazzo”».

Le intervistate hanno raccontato come il campo si sia trasformato in un “ambiente ostile” dopo aver denunciato la propria aggressione. I colleghi dicevano di non credere alle loro confessioni e si rifiutavano di lavorare con loro. Il comandante di una di loro le disse che stava diventando un “inconveniente” a causa della brutta atmosfera che si stava creando. Alcune delle sue compagne di servizio «venivano da me e dicevano: “È successo a me, ti credo”, era una specie di piccolo movimento MeToo [ma] se parlavi apertamente, [venivi] ostracizzato».

Questo clima ostile ha chiarito a tutte loro che le successive aggressioni probabilmente non sarebbero state denunciate. L’ostilità, poi, è arrivata sia dalle donne che dagli uomini: una vittima ha raccontato di essere stata apertamente non creduta da diversi colleghi dopo aver denunciato la sua aggressione, ma che, per lei, «la cosa peggiore [era che] a farlo fossero state la maggioranza delle donne».

Questo ambiente non è una sorpresa per le lavoratrici delle forze armate britanniche: solo qualche settimana fa il Guardian ha rivelato che 60 donne di alto livello del Ministero della Difesa britannico hanno scritto al Segretario permanente per denunciare molestie, violenze sessuali e condotte intollerabili. Una recente inchiesta sull’aviazione militare britannica ha smascherato una cultura sessista ricca di molestie e bullismo nei confronti delle donne delle Red Arrows.

Leggi anche
Violenza di genere
di Elena Magagnoli 4 min lettura
Violenza di genere
di Chiara Manetti 4 min lettura