Futuro

Domande sui social network

Di fronte alla crisi di X, l’intero settore dei social continuerà a controllare la gran parte del tempo mediatico e dell’attenzione? O la rilevanza di quanto si apprende in rete diventerà un obiettivo più ricercato dal pubblico?
Credit: REUTERS/Carlos Barria
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2 novembre 2023 Aggiornato alle 06:30

Nel giro di dieci-quindici anni, i social network sono arrivati a essere le piattaforme dominanti nel sistema dei media occidentali. A guardare indietro sembra davvero poco tempo. Ma, per l’illusione prospettica tipica di questi tempi incerti, se si cerca di immaginare come saranno i social network tra dieci-quindici anni, si ha l’impressione che si tratti di moltissimo tempo. E soprattutto si fatica a prevedere se conserveranno la loro importanza. Le notizie di questi giorni sulla valutazione di X, cioè di quello che resta di Twitter, non possono che fare riflettere.

Acquistata da Elon Musk per 44 miliardi di dollari circa un anno fa, la piattaforma è valutata oggi 19 miliardi dalla stessa società che la possiede. L’80% della sua forza lavoro è stata cacciata via o si è dimessa.

Gli inserzionisti pubblicitari hanno dimezzato i loro investimenti sulla piattaforma. Soprattutto perché non volevano trovare le loro inserzioni accanto ai messaggi di odio o disinformazione che abbondano e crescono da quando il nuovo padrone ha voluto eliminare gran parte delle attività di moderazione, in nome del suo autodichiarato fondamentalismo della libertà di espressione.

Intanto, gli utenti che hanno accettato di pagare per il servizio premium segnalato dalla spunta blu non hanno ancora compreso bene il valore che ne hanno tratto e di certo non si sono manifestati in numero sufficiente a modificare in modo significativo i conti dell’azienda, che resta in perdita.

Ma ci si domanda: Musk, l’imprenditore che fa volare i missili, fa anche affondare il social network? Oppure si tratta di una crisi sistemica? La prima ipotesi è evidentemente credibile. Ma la seconda ipotesi non è insensata.

Dopo anni di consultazione compulsiva dei social network, con la dipendenza dalla dopamina che entra in circolazione quando sta per apparire il numero di cuoricini conquistati, con un livello di qualità dell’informazione fondato su brevissimi, veloci, messaggi, non necessariamente documentati, gli utenti potrebbero averne abbastanza e tentare di scegliere una dieta mediatica più sana? Dal punto di vista della raccolta pubblicitaria, le altre grandi piattaforme hanno sofferto parecchio per lunghi trimestri, ma hanno registrato una ripresa nell’ultimo quarto.

Su YouTube la raccolta è migliorata, su Snap è aumentata del 5%, su Meta è aumentata del 23%.

Del resto, da qualche parte la pubblicità deve pure andare: e i tre miliardi di utenti giornalieri serviti dalle piattaforme di Meta non possono che essere un grande polo di attrazione.

La realtà del gruppo Meta è che l’aumento dei profitti è stato ottenuto con significativi tagli dei costi.

Un indicatore compatibile con un settore che sta attraversando un periodo meno dinamico del solito. Nel frattempo, l’avventura del metaverso è costata quasi 50 miliardi di perdite all’azienda guidata da Mark Zuckerberg. E continua ad accumularne. Forse il cambiamento strategico del quale tenere conto è quello che sta accadendo nel contesto regolatorio. Un po’ in tutto il mondo, la legge sta diventando favorevole alla maggiore responsabilizzazione delle piattaforme, relativamente ai loro effetti sulla popolazione.

In Indonesia, sono state vietate le transazioni sui social network, il che ha colpito essenzialmente TikTok. In Europa.

In America, intanto, la piattaforma cinese è stata vietata sui telefoni dei funzionari della pubblica amministrazione e continua ad affrontare situazioni critiche dal punto di vista regolatorio.

Intanto, gli interventi della normativa europea sono arrivati ad attribuire nuove responsabilità alle piattaforme per quanto riguarda la disinformazione e i discorsi d’odio. Aumentando una latente sfiducia nei social network dal punto di vista della qualità dell’informazione. Non è più l’epoca dei social media trionfanti. Ma non è ancora una crisi. È però un’opportunità per la nascita di alternative più rispettose dei diritti degli utenti. Non è necessario immaginare che qualcuno voglia fare concorrenza alle mega piattaforme americane o cinesi sul loro stesso piano.

Si può piuttosto considerare l’ipotesi che nascano nuove soluzioni al problema di informarsi in modo documentato.

Magari partendo da settori sui quali la disinformazione fa molto male, come la medicina, o può determinare pessimi risultati prospettici per la vita delle persone, come l’educazione.

Se si informano sul lavoro, la formazione, la cura del corpo, le persone sono incentivate a trovare qualcosa di credibile, soprattutto se comincia a diffondersi la consapevolezza che i vecchi social network non richiedono alcuna documentazione di supporto a chi pubblica qualcosa nei loro servizi.

Per un cambio di direzione reale, però, al di là delle intenzioni della policy, devono entrare in gioco nuovi soggetti che abbiano identitariamente interesse alla qualità dell’informazione.

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