Ambiente

Perché la CO2 catturata negli Stati Uniti serve per estrarre petrolio

Anche se è stata presentata come la possibile soluzione per ridurre l’impatto sul Pianeta dei gas alteranti, la tecnologia carbon capture & storage favorirebbe in realtà il business del petrolio
Tempo di lettura 4 min lettura
5 novembre 2023 Aggiornato alle 20:00

La carbon capture & storage (Ccs) è stata presentata negli ultimi anni come una possibile soluzione per ridurre l’impatto dei gas alteranti. Questa tecnologia cattura la CO2 rilasciata nell’atmosfera attraverso degli specifici impianti industriali. Teoricamente dopo la cattura l’anidride carbonica dovrebbe essere confinata sotto terra, ma una serie di nuove analisi hanno rivelato molteplici aspetti controversi in merito.

Secondo le stime delle autorità americane le società energetiche che hanno sviluppato gli impianti Ccs aspirano ogni anno circa 18 milioni di tonnellate di CO2, pari alle emissioni annuali di 4 milioni di veicoli. La maggior parte dell’anidride carbonica però non rimane confinata nel sottosuolo, dato che il 60% di questa quantità viene riutilizzata in una particolare procedura chiamata “recupero potenziato del petrolio”.

Con questa tecnica la risorsa fossile viene prelevata dal suo giacimento attraverso diverse fasi che agevolano l’estrazione del combustibile. Nella prima la pressione naturale spinge il petrolio verso la superficie, venendo poi incentivata ulteriormente dalle trivellazioni che riversano un fluido per accelerare il processo. Infine nella fase finale la CO2 catturata dagli impianti Ccs viene iniettata nel pozzo di estrazione, espandendo e mescolandosi con il petrolio per farlo uscire in superficie.

Con questo processo il “recupero potenziato del petrolio” è arrivato a essere il 4% della produzione petrolifera statunitense, con grande diffusione nel bacino del Permiano, un importante giacimento esteso fra il Texas occidentale e il New Mexico sud-orientale.

La direzione presa dall’industria Oil & Gas ha suscitato notevoli allarmi nella comunità scientifica e nelle organizzazioni ambientaliste, che vedono lo sviluppo di questa tecnica come l’ennesimo episodio di greenwashing praticato dalle società energetiche, con il supporto dei fondi governativi.

«Penso che sia un problema enorme. L’industria del petrolio e del gas ha fatto un ottimo lavoro nel cooptare la nostra politica sul clima e sull’energia pulita», ha dichiarato Lorne Stockman, co-direttore del gruppo di pressione Oil Change International.

Per decenni il governo degli Stati Uniti ha finanziato la tecnologia Ccs, ritenendole un rimedio per abbattere l’impatto delle emissioni senza necessariamente rivoluzionare l’intero sistema energetico. Una strategia che è stata evidenziata e suggerita anche dalla International Energy Agency, dato che il sistema globale molto probabilmente dovrà catturare 1,2 miliardi di tonnellate di CO2 entro il 2050 per raggiungere il Net Zero.

Nonostante le continue critiche rivolte al settore energetico, il “recupero potenziato del petrolio” è stato difeso dal direttore globale della Clean Air Task Force per la tematica Ccs, Benjamin Longstreth, che ha dichiarato che l’utilizzo della CO2 catturata non aumenta la produzione di petrolio e non comporta un peggioramento della crisi climatica: «in entrambi i casi si sta ottenendo la stessa quantità di petrolio recuperato. E la stessa quantità di CO2 viene sepolta dentro la Terra».

Una tesi rigettata dalle associazioni ambientaliste, assolutamente contrarie a ulteriori aiuti statali al settore oil & gas inquadrati nell’ambito della tecnologia Ccs. «Il Congresso non avrebbe dovuto creare – e in seguito aumentarne il valore – un nuovo sussidio per l’industria del petrolio e del gas con il pretesto della mitigazione delle emissioni climatiche» ha sottolineato Josh Axelrod, sostenitore senior del Natural Resources Defense Council.

Leggi anche
Sostenibilità
di Jacopo Gitti 2 min lettura
Sostenibilità
di Francesca Iafrate 3 min lettura