Economia

Transizione green: è corsa al carbon pricing (ma c’è chi non è convinto)

All’inizio dell’anno, il 23% delle emissioni globali era coperto dal “costo del carbonio”: una tassa in più per la produzione degli agenti inquinanti. Ma, secondo gli attivisti, i meccanismi di compensazione rappresentano spesso una forma di greenwashing
Credit: Arvind Vallabh 
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30 ottobre 2023 Aggiornato alle 11:00

Ottime novità sul fronte della sostenibilità. Perché anche i Paesi del mondo meno noti per la loro indole green stanno dimostrando un notevole impegno verso un obiettivo fondamentale: la decarbonizzazione dei processi.

Ormai ci è chiaro: per cercare di arginare il più possibile il cambiamento climatico in atto e limitare i danni che ne derivano, è necessario che diminuisca nettamente l’uso di combustibili fossili. Sì, ma come? Ricorrendo al carbon pricing: un prezzo sul carbonio, in grado di disincentivare il rilascio delle emissioni di CO2 attraverso lo scambio delle quote di emissione e l’imposizione di una carbon tax.

E sono molti i Governi di tutto il mondo che, negli ultimi anni, hanno fatto ricorso alla creazione di un mercato di scambio di permessi inquinanti, che possono essere venduti dalle aziende che inquinano meno a coloro che superano la quantità di emissioni di gas serra a propria disposizione. Tra gli ultimi Paesi a adottarne uno, sorprendentemente, c’è l’Indonesia: il 9° maggior inquinatore del Pianeta, responsabile del rilascio nell’atmosfera di circa 620 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno. Malgrado il ricorso prevalente al carbone per fini energetici, lo Stato sta esplorando interessanti iniziative ecologiche.

Anche il Giappone ha da poco adottato un innovativo meccanismo di compensazione delle emissioni inquinanti, mentre il Vietnam è al lavoro per istituire il proprio mercato di scambio nel 2028.

È proprio grazie alla crescente attenzione mondiale per le tematiche green (diffusasi anche nei Paesi storicamente meno attenti al proprio impatto ambientale) che la Banca Mondiale ci riporta un dato promettente: se nel 2010 solo il 5% delle emissioni globali era coperto da carbon pricing, all’inizio del 2023 la percentuale è salita al 23%.

L’Australia, per avvicinarsi maggiormente al proprio obiettivo “zero emissioni” entro il 2050, ha imposto la riduzione del 4,9% delle emissioni prodotte dai grandi impianti industriali (responsabili del 28% delle emissioni del Paese), pena l’obbligo di ricorrere a compensazioni di CO2 (vendute a 20 dollari a tonnellata).

Invece, per incentivare l’adozione di pratiche più verdi e la scelta di fornitori più eco-sostenibili, il 1° ottobre l’UE ha annunciato il “Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere” (Cbmam) che, entro il 2026, fisserà un prezzo del carbonio sulle importazioni in Europa. Nella fase iniziale del Cbam, gli importatori dell’Ue di cemento, idrogeno, ferro e acciaio, alluminio, elettricità e fertilizzanti dovranno comunicare le emissioni incorporate durante la produzione e il trasporto dei beni importati. Dal 2026, invece, si passerà alla fase operativa: gli importatori Ue pagheranno la differenza tra il costo del carbonio di queste importazioni in Europa e quello pagato dall’esportatore nella propria nazione di provenienza.

Una vera e propria tassa, col fine di contrastare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio verso Paesi con norme ecologiche meno severe. Ma i piani di carbon pricing, sebbene spingano a effettuare un monitoraggio più accurato delle emissioni, stanno sollevando diverse polemiche.

Infatti, secondo gli attivisti, i meccanismi di compensazione delle emissioni rappresenterebbero una forma di “greenwashing”, senza tuttavia contribuire sostanzialmente alla riduzione dell’inquinamento. Altre preoccupazioni riguardano, invece, la fissazione di un prezzo troppo basso del carbonio che, secondo alcuni, non permetterebbe di raggiungere adeguatamente gli obiettivi green sperati.

I primi passi verso la transizione verde sono stati compiuti, ma accelerare il percorso è fondamentale. Il coinvolgimento dei Paesi di tutto il mondo sta aprendo la strada a una rivoluzione green che potrebbe cambiare il futuro dell’intero Pianeta.

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