Diritti

Occupiamo il giornalismo per occuparci di giornalismo

I capi sono sempre uomini e i colleghi guadagnano di più. Come cambiare le cose? Iniziamo parlandone, denunciando. Sostenendoci
Cristina Sivieri Tagliabue
Cristina Sivieri Tagliabue direttrice responsabile
Tempo di lettura 7 min lettura
28 ottobre 2023 Aggiornato alle 08:00

Me Too

Sì. Siamo quelle che vi hanno raccontato le manifestazioni del #MeToo nato negli Stati Uniti, e arrivato poi a macchia d’olio in tutta Europa, e in Italia.

Siamo quelle che hanno intervistato Asia Argento per prime e che hanno appena terminato di commentare le tristi aggressioni di Giancoso.

Siamo quelle che per prime hanno iniziato a parlare di gender gap all’interno dei giornali, fossero femminili o fossero quotidiani, dove i nostri punti di vista venivano malamente nascosti all’interno di pezzi in fondo a sezioni internissime, quando ancora i pezzi di carta attaccati alle notizie erano tanti.

Siamo quelle che, affamate di Osservatori, centri ricerca, studi in geroglifico e aramaico hanno iniziato a cullare le fonti che raccontavano la differenza, e che hanno iniziato a “fare la conta” perché eravamo altrimenti troppo “emotive” esplicitando la necessità di una parità.

Siamo state noi che vi abbiamo aperto questo mondo. Il problema è che eravamo così occupate prima a raccontare il cambiamento necessario, e poi il cambiamento in atto, che non ci siamo occupate di guardare quello che ci accadeva accanto. Nelle nostre vite. Nei nostri luoghi di lavoro. Nelle nostre redazioni. Con i nostri colleghi.

E che cosa succedeva, negli anni ‘80, ‘90, 2000, 2010, 2020 nelle redazioni dei grandi giornali italiani (a parte il fatto che i direttori erano tutti uomini, ma questo è praticamente ancora così, è sotto gli occhi di tutti)?

Succedeva che ci siamo abituate. Siamo abituate a frequentare convegni in cui la maggior parte degli uomini parlano, a partecipare a riunione di redazione in cui la maggior padre degli uomini decidono, a presenziare a festival di giornalismo, di comunicazione, di cultura, in cui, sul palco, sfido chiunque a trovare più di 2 donne su 10 su un palco.

Ci siamo occupate “poco” anche di noi, di capire cosa pensassimo non di quello che raccontavamo, ma di quello che ci accadeva giorno per giorno. Ci siamo abituate alla subordinazione, quando va bene. E al silenzio, quando va male.

Abbiamo mandato giù amari bocconi.

Codice Etico What?

Avevamo un sogno, e in parte si è avverato. Il mondo, qui fuori, si è accorto che esistiamo, si è accorto del nostro valore. Insieme alla politica, e grazie a persone come Emma Bonino, Laura Boldrini, Pina Picierno, Lella Golfo e Alessia Mosca e tante altre, è migliorato.

E voi, aziende che mi state ascoltando, non solo avete un settore Human Resources, ma state curando con attenzione responsabilità di cose come ESG: “sostenibilità ambientale, sociale e di genere”. Vi occupate di certificazione di genere, certificazione di sostenibilità, avete creato comitati e sono nate professioni, ormai, sul tema gender gap.

Avevamo un sogno, e si è avverato. Fuori. Dentro, invece, la situazione è ancora ben diversa. Non solo in Italia eh.

Non più tardi di una settimana fa una delle più grandi giornaliste del mondo, Tina Brown, tra le prime direttrici di Vanity Fair, raccontava al FT che nel giornalismo, questa cosa qui non è successa. Lei, prendeva la metà del suo collega direttore di GQ. Lamentarsi non le è servito. Ha continuato a prendere la metà.

Esistono le quote rosa, ma noi ci siamo occupate “poco” anche delle quote rosa e degli stipendi nel giornalismo. Perché bisogna solo ringraziare, se si riesce nella vita a fare le giornaliste. E poi, diciamocelo, la questione stipendi e presenza nei ruoli decisionali è solo la punta dell’iceberg.

C’è la violenza, verbale, fisica, di un mondo abituato a ragionare come una catena di montaggio. Taylorismo, non giornalismo. Con a capo delle macchine. Uomini. Ora, per fortuna, abbiamo avuto uno spaccato nazionale di quanto accade nelle redazioni dall’ex compagno della Premier. In questo senso, d’ora in poi, sarà più facile spiegare che a questo tipo di molestie, noi ci siamo abituate. E che la mia generazione, come immagino la generazione precedente, di queste brutture ne ha subite decine.

Quando andava bene, erano complimenti mal posti. Quando andava male, erano ricatti. E tuttavia, ognuna ha reagito come poteva. Perché il costo della ribellione prende delle vie che tutte conosciamo. E ribellarsi è ancora un privilegio. Lo può fare chi è molto forte, e chi non ha niente da perdere. Perché la ribellione presuppone libertà.

Sappiamo tutte che la denuncia avrebbe portato a un demansionamento, un accanimento, accantonamento, un passo indietro rispetto alla carriera. Non riesco neppure a immaginare quanto pensanti debbano essere stati i bocconi da mandare giù, per tante giornaliste molto affermate.

Ognuna reagisce come può.

La giornalista imbruttita

Adesso pensate a una grande giornalista italiana che lavora in un quotidiano, a una mitica giornalista che avete letto e stimato. E no, non pensate a Oriana Fallaci o Miriam Mafai per favore! Ecco lo so che le avete pensate, e che non vi vengono in mente grandi giornaliste contemporanee che lavorino in un quotidiano.

E non è che non ci siano bravissime e grandi giornaliste nei quotidiani italiani. È che dagli anni ‘80 in poi, i quotidiani non hanno saputo esprimere la forza del grande giornalismo femminile, perché non hanno dato spazio al grande giornalismo femminile.

Le giornaliste che vi ricordate oggi hanno dovuto lavorare tutte fuori dal mondo del giornalismo “tradizionale”, per avere una chance di affermare le proprie opinioni in prima pagina. E solo dopo che sono diventate mediaticamente forti (grazie alla tivù, ai blog, alle radio, e soprattutto ai social media) i giornali ne se sono “riappropriati”.

Giornaliste vere e proprie, che seguite tutti i giorni, come:

Selvaggia Lucarelli

Daria Bignardi

Francesca Fagnani

Concita De Gregorio

Milena Gabbanelli

Oppure scrittrici, influencer, autrici come:

Giulia Blasi

Michela Murgia

Jennifer Guerra

Chiara Valerio

Con la rarissima eccezione di Annalena Benini, che dentro il Foglio, ha concepito Il Figlio. L’eccezione, appunto, che conferma la regola. E Monica D’Ascenzo.

Perché, all’interno dei luoghi della cultura per antonomasia, i giornali italiani, le voci delle giornaliste non hanno saputo conquistare le prime pagine, con le loro opinioni, i loro corsivi, i loro punti di vista, e sono state quando va bene ghettizzate all’interno di sezioni, supplementi, aree complementari del giornali che non fossero MAI la colonna della prima pagina.

Perché ci siamo imbruttite? O perché non era disponibile, quello spazio?

È giusto che?

E allora, visto che non siamo state coerenti, perché abbiamo parlato di cose che non praticavamo nella nostra vita, è giusto - ancora - godere della vostra stima, di voi lettori e lettrici? Perché dovreste fidarvi di giornaliste che parlano come me di inclusione, di diritti, ma che non hanno saputo, nella loro vita, mettere in pratica quanto hanno predicato?

Noi che - ancora - non ci siamo ribellate veramente, pubblicamente continuiamo a dare giudizi sul femminismo, a proporre temi, a raccontare la realtà?

Noi che non abbiamo fatto nulla per migliorare lo status quo, noi che, preferivamo vivere…

No, forse non è giusto che ci leggiate per quello che siamo, ma per quello che comunque potete immaginare abbiamo comunque subito, per continuare a fare il nostro mestiere in un ambito così avverso, retrogrado, jurassico.

#staiserena

Ci sono le regole delle 4W nel giornalismo. C’è Sex and The City che ci ha mostrato un freelance di Vogue acquistare ogni giorno con i propri lauti compensi. E poi c’è la verità. Che è J di Journalism che fa il paio con Jurassico. Ecco, diciamolo. Il vero giornalismo, e non solo italiano. La preistoria.

Però potete aiutarci anche voi, a migliorare questo mondo che ha bisogno di essere migliorato. E non è soltanto “leggerci” perché bisogna leggerci. Potete aiutarci partecipando, come state facendo ora, a discutere di questi temi, e invitandoci a parlare anche di noi, e non solo con noi.

Voi, persone, le aziende, la parte migliore del Paese, la parte produttiva, la parte che intercetta i cambiamenti per poi metterli a terra, voi potete darci una grande mano nel ridiscutere radicalmente anche il nostro modo di funzionare.

Voi là fuori potete dare una svolta al metodo con il quale si premiamo le risorse valide e si valorizzano i talenti anche nei giornali. Voi, potete darci una grossa mano per migliorare lo status quo ma sappiamo che non si cambiano le cose senza disturbare nessuno.

La vera domanda è: noi, abbiamo il coraggio di farlo?

Questo editoriale è stato raccontato il 25 ottobre durante l’evento di 4W4I dedicato alla parità di genere, in un keynote speech di 7 minuti di Cristina. Puoi vederlo qui.

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