Diritti

Giorgia apre al #MeToo del giornalismo

Quante volte, raccontato palesemente oppure capito, siamo state a questo ricatto: “Entrerai a far parte del nostro gruppo di lavoro? Ti piacerebbe? Però devi darci qualcosa in cambio”
Credit: Gianluca Moretto
Cristina Sivieri Tagliabue
Cristina Sivieri Tagliabue direttrice responsabile
Tempo di lettura 5 min lettura
20 ottobre 2023 Aggiornato alle 11:30

La verità è che nel mondo del giornalismo - non dei media, ma proprio del giornalismo con la g minuscola - a quelle frasi dette da Giambruno nei fuorionda alle sue colleghe, ci siamo abituate.

Ci siamo così abituate da dare per scontato che sia così anche se tutti i giorni non facciamo altro che scrivere di quanto accade in altri mondi, con il #MeToo della pubblicità, con il #MeToo delle attrici, con il #MetToo di tutti gli universi che non siamo noi.

Scriviamo di tutti i #MeToo del mondo, e non abbiamo il coraggio di vedere che il re è nudo, e che il giornalismo, patria della cultura italiana, è uno degli ultimi baluardi maschilisti gestito da uomini che giocano a dimostrare di essere superuomini, e una volta raggiunti i vertici del sistema, si sentono “in potere” di tutto. Parlo di Antonio Ricci, che si è sentito in diritto di mandare in onda un fuorionda che devasterà comunque e sempre non solo una premier che ha reagito da leonessa, ma una bambina, Ginevra, che non ha nessuna colpa delle colpe del padre. E poi certo, parlo di Andrea Giambruno. Come leggete, è una cosa “da maschi” in cui le donne sono solo vittime in tutto e per tutto. Vittime in redazione. Vittime fuori dalla redazione.

Di loro, però, a nessuno interessa, perché l’importante è mostrarci chi è il più forte dei due. E vedremo, ora, cosa accadrà, ora che il compagno della premier è rimasto solo con le sue boutade.

Eppure, abituate al disagio sin dai primi passi nella professione, capita che ascoltiamo le frasi di Giambruno “tecnicamente”, come se non ci riguardassero da vicino. E invece - guardiamoci negli occhi, e diciamocelo - queste sono le frasi a cui siamo sempre state abituate, da quando abbiamo iniziato la gavetta in un giornale di provincia.

Non dipende neppure dal singolo episodio. Nella mia esperienza, per esempio, gli episodi sono stati decine, e tutti nella stessa direzione. I direttori dei quotidiani erano tutti uomini, i giornalisti venivano selezionati con criteri personalistici e non sempre di merito (per essere generosi) e le squadre dei direttori sono state guidate da uomini di “macchina” che erano e sono, appunto, uomini. Garantiscono il funzionamento di un sistema preistorico - tayloristico - della produzione (notizia, scrittura, foto, impaginazione, stampa, distribuzione) che non ammette ritardi. È un sistema duro e difficile, che implica anche una dedizione totale al “sistema giornale” . È qualcosa di molto lontano dal “me time” e dalla ricerca dell’equilibrio di cui oggi racconta Maura Gancitano. Il tempo che governava una volta la distribuzione nelle edicole si è poi solo che drammatizzato con internet. La “macchina” era ed è la cosa più importante. E la macchina, e i tempi della macchina, sono stati tenuti, e garantiti, dagli uomini. Quando avevo vent’anni, ma anche oggi, le donne si infilavano come orpelli all’interno di uffici in cui, se ti andava bene, c’erano i poster di Max appesi alle pareti. Se ti andava male, il caporedattore di Diario ti toccava il fondoschiena e tu dovevi rinunciare alla collaborazione dopo due articoli, perché non ce la facevi più a subire il telefono erotico.

Ognuna di noi, credo, abbia subito il «Posso toccarmi il pacco mentre ti parlo?» di Giambruno e il suoi «Tu sei fidanzata?». Certo, originale il «Tu sei aperturista? Come ti chiami? Ci siamo già conosciuti io e te? Dove ti ho già vista? Ero ubriaco?». È capitato magari di avere capiredattori che amano le partouze e ci scherzano sopra, facendoti capire che se non partecipi ai loro interessi “sessuali” non ci sarà spazio per te nel giornale.

Perché non abbiamo detto niente? Perché eravamo sole, questa è la verità, e ognuna ha adottato la sua personale strategia per “farcela”. «Come amore? Lo sai che io e (nome omesso, ndr) abbiamo una tresca? Lo sa tutta Mediaset, adesso lo sai anche tu, però stiamo cercando una terza partecipante perché noi facciamo le threesome, anche le foursome con…” (sempre nome viene omesso, ndr).

La Mediaset con Silvio Berlusconi non è stato un posto semplice per le donne. Lo spiegano le ricerche sugli stereotipi femminili dell’Osservatorio di Pavia, lo spiegano vent’anni, trent’anni in cui le donne sono state rappresentate sempre “al banchetto”, al fianco del conduttore, quando va bene.

Silenziose, assertive, di bell’aspetto. Questo facevano le donne in Mediaset, prima. Andrea Giambruno del mondo “prima” ne sa molto, in quanto ex autore di tanti programmi tivù. Ha visto tanti direttori e giornalisti comportarsi così, e non ha ben calcolato che il pubblico è privato, quando sei il compagno della premier.

Mi spiace, ascoltando i fuorionda, soprattutto per quelle ragazze che ancora una volta, come me, con il sorriso per non far arrabbiare il capo, abbiano dovuto rispondere non in modo netto, e scocciato, ma pacato. È venuta veramente l’ora, di comunciare, anche nel giornalismo, a mandare a quel Paese chi si comporta così. Come ha fatto Giorgia.

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