Diritti

MeToo pubblicità: la prima mappatura delle violenze

Re:B ha rilasciato i risultati del questionario aperto alle vittime di molestie nel mondo dell’advertising: oltre 1.000 risposte, 200 agenzie e persone coinvolte; almeno 10 “chat dei maschi”
Credit: Mercedes Álvarez
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
20 luglio 2023 Aggiornato alle 09:00

Più di 1.000 vittime, 200 tra agenzie e persone coinvolte, almeno 10 “chat dei maschi” in cui si commentano, sessualizzando, le colleghe. A poco più di un mese dallo scoppio della bomba che ha rivelato la sistematicità di violenze, sessismo e misoginia nel settore dell’advertising (e mentre già l’attenzione inizia a calare dopo giorni di articoli e dibattiti) arriva la prima mappatura delle molestie nelle agenzie di comunicazione in Italia.

A cura di Re:B (il progetto lanciato non solo per fornire assistenza alle vittime, ma per tenere alta l’attenzione attorno al tema) si tratta dei primi risultati del questionario aperto in cui si chiedeva alle persone che avevano subito violenze o molestie di raccontare la propria esperienza.

Il primo, prevedibile, riscontro è qualcosa che sapevamo già, ma vederla nei numeri dà la misura di quanto la situazione sia radicata: anche se alcuni racconti hanno cannibalizzato gli spazi mediatici, la verità è che non si tratta di un’agenzia, né di una chat o di un molestatore, per quanto noto, né di un’unica città.

Il problema delle molestie sessuali è “è culturale e sistemico” e i dati lo dimostrano. Il questionario, infatti, ha raccolto oltre 1.000 racconti di “di molestie e abusi fisici, verbali e psicologici sul luogo di lavoro”. Alcune risalgono a oltre 30 anni fa (la prima denuncia è del 1989), altre riguardano eventi più recenti (in un caso, ancora in corso) mostrando quanto il #metoo di giugno abbia solo scoperchiato una realtà ben più longeva.

Dai racconti emergono almeno 200 entità (“agenzie e persone che molestano e abusano colleghə e dipendenti”) la maggior parte delle quali si trova a Milano, per motivi legati più alla concentrazione delle agenzie sul territorio che a un fenomeno limitato: anche città come Torino, Roma, Bologna e Ancona sono lo sfondo di testimonianze condivise dalle vittime.

9 volte su 10, a segnalare è stata una donna, che ha condiviso esperienze personali vissuta o in prima persona o a cui ha assistito. Questo dimostra che le donne sono le principali vittime delle molestie. Altrettanto prevedibilmente, a essere colpite dalle violenze fisiche e verbali sono anche le persone che appartengono alla comunità Lgbtq+: il 5% delle segnalazioni riguarda molestie ai loro danni.

Le testimonianze maschili di denuncia (o autodenuncia) sono meno del 10% del totale. Queste condivisioni, però, permettono di tracciare i confini di un altro fenomeno che, complice la gravità dei racconti e la notorietà dell’agenzia coinvolta, ha dominato le cronache relative al “#metoo della pubblicità”: le chat di soli uomini nate con il solo scopo di “commentare, sessualizzare e umiliare le colleghe”.

Come già avevamo scoperto, “la chat degli 80” non era l’unica: dalle testimonianze condivise, risulta che almeno altre 10 agenzie in Italia ne avessero una. “Una stima al ribasso”, spiega il comunicato nel post in cui Tania Loschi ha condiviso i dati.

Ma dalle testimonianze emerge anche un altro aspetto inquietante: le molestie non riguardano sono i luoghi di lavoro, ma anche quelli della formazione. “Le scuole di comunicazioni non sono immuni alla piaga, le segnalazioni ricevute a riguardo riportano epiloghi allarmanti. Per questo, possiamo affermare che la normalizzazione del problema parte anche dalle scuole di settore: in un’età compresa tra i 19 e i 23 anni, le persone che vengono sottoposte alla cultura maschilista e sessista, una volta sbarcate in agenzia, saranno - purtroppo - già abituate a queste dinamiche”.

Non solo: a essere allarmante è anche la paura di denunciare, soprattutto da parte di chi lavora ancora nel luogo dove ha subito le molestie. Paura di essere identificati, di subire mobbing, di perdere il lavoro: sono tutti motivi che spingono a tacere. Non è inaspettato, ma dimostra soprattutto la sfiducia emersa dal questionario rispetto alla capacità dei reparti HR interni alle aziende (quando presenti) di dare risposte concrete ai problemi segnalati.

Solo in alcuni casi, infatti, chi ha denunciato a superiori, colleghi o HR la molestia subita dichiara “di aver ricevuto supporto e un intervento di condanna immediato”. Questo dimostra che la denuncia “è uno strumento sicuramente necessario ma che non può essere la soluzione al problema”.

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