Diritti

Aborto: il consenso di terzi ostacola le donne

Secondo l’analisi pubblicata sulla rivista BMC Public Health, i requisiti per concedere l’interruzione di gravidanza tramite genitori, coniugi, comitati e tribunali sono dannosi. Ma presenti in 105 Paesi su 158
Credit: Ethan Gregory Dodge
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 6 min lettura
25 ottobre 2023 Aggiornato alle 18:00

“La percentuale di aborti non sicuri è significativamente più elevata nei paesi con leggi sull’aborto altamente restrittive rispetto ai paesi con leggi meno restrittive”, spiega l’Organizzazione Mondiale della Sanità nelle proprie linee guida sull’aborto. Secondo i dati, circa il 45% di tutti gli aborti non sono sicuri e il 97% avviene nei Paesi in via di sviluppo.

Tra gli ostacoli all’aborto sicuro segnalati dall’Oms, fa capolino anche “il consenso di terzi”, ovvero l’obbligo di far intervenire qualcun altro, oltre alla donna che decide di praticare un’interruzione di gravidanza, che valuti le motivazioni di questa scelta. “Esistono requisiti di autorizzazione da parte di terzi laddove vi sia un requisito imposto dalla legge o dalla politica, o nella pratica, secondo cui una parte diversa dalla donna incinta deve autorizzare un aborto, anche se sono stati soddisfatti altri requisiti legali applicabili per l’aborto legale (ad esempio motivi o limiti di età gestazionale”, spiega l’Oms.

Tra i cosiddetti “terzi” rientrano il genitore, il tutore, il coniuge, il convivente, l’operatore sanitario, l’autorità sanitaria o l’autorità giudiziaria. I requisiti di autorizzazione di terzi, sottolineano gli esperti, “operano indipendentemente dal fatto che la persona che cerca di interrompere una gravidanza abbia la capacità di acconsentire al trattamento medico”.

Uno studio pubblicato sulla rivista scientifica BMC Public Health ha esaminato l’impatto sulla salute e sui diritti umani di questi requisiti, dimostrando che sono dannosi per le donne perché creano ostacoli all’aborto. Le ricercatrici Fiona de Londras e Alana Farrell, della University of Birmingham, Amanda Cleeve, del Karolinska Institute di Stoccolma, Maria I. Rodriguez dell’Oregon Health and Science University, Magdalena Furgalska della University of York e Antonella F. Lavelanet del Department of Sexual and Reproductive Health and Research dell’Oms, a Ginevra, hanno confermato che “i requisiti che prevedono l’autorizzazione di terzi creano barriere all’aborto, non dovrebbero essere introdotti affatto o dovrebbero essere abrogati laddove esistono”, si legge nello studio.

Al contrario, spiegano le ricercatrici, “la fornitura e la gestione dell’aborto dovrebbero essere trattate in modo conforme ai principi generali del consenso informato nel diritto internazionale dei diritti umani, presumendo la capacità di tutti gli adulti indipendentemente dallo stato civile e dal trattamento richiesto, e riconoscendo la capacità in evoluzione dei giovani in linea con i loro diritti protetti a livello internazionale”.

Nel mondo ben “105 Paesi su 158 analizzati richiedono l’autorizzazione da parte di uno o più operatori sanitari perché l’aborto possa essere fornito legalmente, mentre un terzo dei Paesi che consentono l’aborto richiede l’autorizzazione dei genitori per i minori e 12 richiedono il consenso del coniuge. Questi requisiti di autorizzazione, continua la ricerca, “si trovano in giurisdizioni di tutto il mondo e all’interno di leggi sull’aborto che sono ampiamente considerate liberali o permissive, così come quelle considerate generalmente restrittive”.

Significa che, in 105 Paesi, un coniuge, un genitore, un tribunale, un comitato, un ufficiale di polizia, un medico o un’altra autorità specifica può “effettivamente scavalcare la preferenza dichiarata di una persona di interrompere la gravidanza attraverso l’aborto rifiutandosi di ‘autorizzarla”.

Nella loro ricerca, le studiose hanno esaminato testi in lingua inglese in PubMed, HeinOnline, JStor e nel motore di ricerca Google Scholar, limitando la ricerca ai documenti pubblicati in inglese dal 31 dicembre 2010 al 2 dicembre 2019, ed effettuando “una ricerca aggiornata fino a luglio 2021” degli stessi database. Cercando 5 dei requisiti per le autorizzazioni di terzi (coinvolgimento dei genitori, notifica ai genitori, “consenso” dei genitori, bypass giudiziario e requisiti di “consenso coniugale”), tra le 25.514 citazioni scovate, e dopo uno screening completo di 278 manoscritti, nell’analisi finale ne sono stati inclusi 34 manoscritti.

La revisione stabilisce “che una regolamentazione dell’aborto basata sui diritti non dovrebbe imporre requisiti di autorizzazione di terzi in nessuna circostanza. Invece, la fornitura e la gestione dell’aborto dovrebbero essere trattate nel rispetto dei principi generali del consenso informato nel diritto internazionale sui diritti umani, presupponendo la capacità di tutti gli adulti indipendentemente dallo stato civile e dal trattamento richiesto, e riconoscendo la capacità in evoluzione dei giovani di in linea con i loro diritti tutelati a livello internazionale”. Lo studio ribadisce che il coinvolgimento di terzi è “in contrasto con il principio secondo cui - a meno che non vi sia una mancanza di capacità mentale - è il ‘paziente’ da solo a decidere se sottoporsi a un intervento o a un trattamento”.

Nella call to action per proteggere l’accesso all’aborto in Europa, la Casa Internazionale delle Donne spiega che “tali barriere e restrizioni riflettono pratiche mediche obsolete e stereotipi di genere dannosi e violano i diritti umani […], non servono ad altro che a ritardare l’accesso a cure tempestive, rafforzano lo stigma legato all’aborto e impediscono un’assistenza centrata sul paziente ostacolando la capacità degli operatori sanitari di fornire cure in linea con le migliori pratiche internazionali”. E si scontrano con le raccomandazioni dei meccanismi internazionali per i diritti umani e con le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, così come quelle del Comitato sui diritti dell’infanzia delle Nazioni Unite che esorta gli Stati “a eliminare le barriere che impediscono agli adolescenti e ai bambini di accedere alle cure per l’aborto”.

Tra le linee guida dell’Oms e dello Human Reproduction Programme (co-sponsorizzato dall’Oms), l’organizzazione raccomanda “che l’aborto sia possibile su richiesta della donna, ragazza o altra persona incinta senza l’autorizzazione di qualsiasi altro individuo, ente o istituzione”. E sottolinea che, “sebbene il coinvolgimento dei genitori o del partner nel processo decisionale sull’aborto possa sostenere e assistere donne, ragazze o altre persone incinte, ciò deve essere basato sui valori e sulle preferenze della persona che si avvale dell’aborto e non imposto da requisiti di autorizzazione di terzi”.

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