Diritti

Elezioni Polonia: Jana Shostak esclusa per aver detto «Sì» all’aborto

La candidatura dell’attivista con la coalizione guidata da Piattaforma Civica doveva attrarre i voti dei giovani, ma è stata estromessa dalla lista dopo aver espresso il suo parere sul diritto all’interruzione di gravidanza
Credit: Attila Husejnow/SOPA Images via ZUMA Wire
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11 ottobre 2023 Aggiornato alle 11:20

Era stata candidata per promuovere i diritti delle donne in Polonia ma poi, forse, hanno capito che la sua missione sarebbe stata (davvero) questa; così, è stata esclusa. Jana Shostak, infatti, non è più una delle candidate di punta della coalizione di centro guidata dal partito Piattaforma Civica. Donald Tusk, candidato premier della coalizione ed ex presidente del Consiglio europeo, l’aveva voluta in lista per cercare di attirare il voto giovanile e femminista contrario ai sovranisti del PiS, il partito sovranista Diritto e Giustizia che governa da 6 anni sotto la leadership del primo ministro Mateusz Morawiecki. Poi però una frase ha cambiato tutto. Anzi una parola: «Sì». In un’intervista al media Onet Shostak, Shostak ha risposto affermativamente a una domanda sul fatto se fosse giusto o meno che le donne potessero decidere di abortire in qualsiasi momento della gravidanza.

La sua risposta è diventata un caso mediatico in tutto il Paese perché l’attivista ha dato l’impressione di sostenere la possibilità di interrompere la gravidanza anche dopo 12 settimane (in Italia il termine è leggermente superiore ed è fissato a 90 giorni, ma l’aborto è sempre garantito in caso di problemi di salute gravi del feto o della madre). L’idea che una candidata potesse avere questa idea ha mandato nel panico tutta l’ala più moderata della Piattaforma Civica che, pur essendo liberale, resta pur sempre un partito di ispirazione più vicina al centrodestra.

Ecco allora che i vertici della coalizione hanno visto una sola soluzione: estromettere Shostak dalla lista. Secondo l’attivista la decisione sarebbe stata presa senza neanche confrontarsi prima con lei. «Nessuno mi ha chiamata anche solo per provare a chiedermi cosa volessi dire con quelle parole», ha denunciato Shostak che ha anche aggiunto di credere «limitatamente» nella capacità di Tusk di difendere i diritti delle donne.

Che quest’attivista fosse capace di uscite eclatanti era già chiaro da tempo. Nata nel 1993 a Hrodna in Bielorussia, ma cresciuta in Polonia, Shostak ha intrapreso fin da giovane una carriera che ha coniugato arte e attivismo. Nel 2017 si è fatta notare lanciando un progetto il cui obiettivo era sostituire la parola “rifugiato” nell’uso comune con la parola “nowak”, termine che si rifà al cognome più popolare in Polonia, “Nowak”. L’idea alla base era smettere di parlare dei rifugiati come corpi alieni alla società polacca, ma anzi di normalizzare la loro presenza anche attraverso l’uso di questa parola che Shostak ha iniziato a usare nel corso di interviste e interventi pubblici.

La notorietà dell’attivista è cresciuta ancora di più durante le proteste in Bielorussia del biennio 2020-2021. Shostak ha trascorso quasi un anno al confine tra Bielorussia e Polonia sostenendo i manifestanti che cercavano di rovesciare il regime di Aleksandr Lukashenko. Nel maggio 2021, esattamente un anno dopo lo scoppio delle proteste, ha deciso di presentarsi di fronte al palazzo della Commissione europea a Varsavia e di urlare per un minuto intero. L’obiettivo, riuscito, era attirare l’attenzione mediatica europea su quello che stava avvenendo in Bielorussia. La performance è poi stata ripetuta da Shostak più volte e ha contribuito a tenere accesi i riflettori sulla lotta dei dissidenti bielorussi.

Probabilmente sono state iniziative del genere ad attrarre l’attenzione di Tusk e a convincerlo a candidarla, pur sapendo che le posizioni dell’attivista sono molto più progressiste del classico elettorato di centrodestra. Non a caso, subito dopo la notizia della sua cancellazione dalle liste della coalizione, Shostak ha deciso di candidarsi nelle fila della sinistra. «La politica è un pantano - ha detto - Ma io voglio portare la voce degli attivisti direttamente in parlamento e cambiare ciò che intendiamo per politica». Insomma, la sera del 15 ottobre, data fissata per le elezioni, la Polonia sentirà sicuramente un urlo. Se di gioia o di dolore, saranno le urne a deciderlo.

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