Diritti

Lunga vita, Lukashenko!

Mentre la guerra tra Ucraina e Russia incalza, in Bielorussia domenica si è tenuto un referendum costituzionale. Il cui esito ha permesso al presidente Aleksandr Lukashenko di avvicinarsi ancora di più a Mosca. E al potere assoluto
Tempo di lettura 4 min lettura
1 marzo 2022 Aggiornato alle 08:00

Svegliarsi a Minsk lunedì mattina non dev’essere stato semplice: Aleksandr Lukashenko, l’ultimo dittatore d’Europa - come viene chiamato da quando è al potere dal 1994 - potrà rimanere in carica fino al 2035, quando avrà ormai 81 anni. Nulla di grave per un politico, ma non se sei presidente da 27 anni, ovvero dalle prime elezioni “democratiche” della Repubblica bielorussa dopo il crollo dell’Unione Sovietica. La stessa identica faccia che anche davanti a brogli elettorali, dopo le proteste di massa dell’estate del 2020, aveva detto, «Non plasmerò la Costituzione perché risponda alle mie esigenze. Non sarò presidente, quando la nuova Costituzione sarà in vigore».

Eppure, così non è stato: il 65,16% degli elettori ha votato a favore degli emendamenti alla Costituzione della Repubblica di Bielorussia, rafforzando ulteriormente i poteri di Aleksander Lukashenko. E non solo.

La “nuova” Costituzione alla quale il presidente bielorusso ha iniziato a pensare fin dalle elezioni dell’agosto 2020, quando il vincitore, per il popolo, non era lui - Lukashenko ha ufficialmente vinto le ultime presidenziali con l’80% dei voti; il risultato appare a molti osservatori frutto di massicci brogli elettorali.

A sfidarlo era arrivato il candidato attivista Sergej Tikhanovsky, che il regime aveva poi incarcerato. Al suo posto, senza alcuna esperienza, la moglie Svetlana, casalinga, che aveva ottenuto un consenso sorprendente. Lukashenko, però, da buon dittatore, non aveva riconosciuto il risultato, dando inizio a una lunga stagione di repressione, arresti, espulsioni, chiedendo persino i rinforzi all’amico Vladimir Putin, che non si era sottratto e aveva mandato la sua guardia nazionale. Svetlana Tikhanovskaya non si è arresa, è scesa in piazza, si è rifugiata a Vilnius, in Lituania, e poi ha cominciato a bussare ai leader europei per denunciare la dittatura di Lukashenko. Si era opposta anche a questo referendum, cercando di boicottarlo, senza alcun successo.

E così, nella Costituzione ci sono l’immunità a vita per gli ex presidenti e l’introduzione di un limite di 2 mandati presidenziali per i successori di Lukashenko. Così, dall’ingresso in carica di un nuovo presidente, Aleksander Lukashenko avrebbe il diritto di rimanere al potere fino al 2035 se fosse rieletto nel 2025.

Il nuovo testo costituzionale prevede infatti che parte del potere venga affidata a un nuovo organo, l’Assemblea Popolare Bielorussa, che potrebbe essere presieduta dal presidente uscente, ovvero dallo stesso Lukashenko. L’Assemblea deterrebbe grandi poteri: sarebbe, a esempio, responsabile per l’elezione dei giudici e del presidente della Corte suprema e per l’annullamento di atti giuridici ritenuti “contrari alla sicurezza nazionale”. Una storia non molto lontana da quella di Vladimir Putin, che nel 2020, in piena pandemia, ha aperto la strada alla possibilità di rimanere al potere fino al 2036. Cambiando anche lui la Costituzione.

E poi il nodo del nucleare: nella versione modificata della Costituzione bielorussa, scomparso anche l’obbligo per il Paese di rimanere una “zona denuclearizzata”, sostituito da un passaggio che esclude ogni “aggressione militare dal territorio” della Bielorussia - l’articolo 18 della Costituzione bielorussa ha garantito la neutralità nucleare dello Stato sin dalla sua indipendenza dall’Unione Sovietica nell’agosto 1991. Una “garanzia” alla comunità internazionale che il nucleare sarà sviluppato per scopi civili. Nella realtà, un via libera al dispiegamento di armi nucleari russe in Bielorussia e l’eliminazione di qualsiasi forma di cooperazione con i Paesi occidentali.

Infine, nel testo compare il divieto per i partiti bielorussi di ottenere aiuti dall’estero, cosa che potrebbe mettere in difficoltà l’opposizione guidata da Svetlana Tikhanovskaya, sostenuta dai governi occidentali.

La promessa di Lukashenko di portare il Paese verso una graduale democratizzazione sembra sgretolarsi davanti agli 800 arresti di ieri sera in protesta al referendum costituzionale – il ministero degli Esteri di Minsk ha voluto precisare che «malgrado i numerosi tentativi per destabilizzare la situazione, promossi dall’estero, non ci sono state proteste di massa».

La nuova Costituzione appare solo come l’ennesimo tentativo dell’autocrate bielorusso di mantenere il potere il più a lungo possibile. E minacciare tutto il mondo, questa volta anche con il nucleare. Lunga vita, Lukashenko!

Leggi anche
Migranti al confine tra Polonia e Bielorussia
Diritti
di Maria Michela D'Alessandro 6 min lettura
esteri
di Maria Michela D'Alessandro 3 min lettura