Bambini

Come il cambiamento climatico colpisce i più piccoli

Secondo l’Unicef sono 43 milioni i bambini che dal 2016 hanno dovuto abbandonare le loro case a causa di eventi climatici estremi, e le previsioni per il futuro non sono rosee
Credit: Via unwater.org
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28 ottobre 2023 Aggiornato alle 20:00

Uno degli effetti del cambiamento climatico meno preso in considerazione nel dibattito attuale, ma non per questo meno grave, è il dislocamento forzato di molte persone a causa di disastri ambientali o fenomeni atmosferici estremi.

Sebbene tempeste, inondazioni o periodi di siccità siano di fatto naturali, e sia difficile attribuire la responsabilità specifica di un singolo evento al cambiamento climatico, esiste tuttavia un consenso generalizzato nell’affermare che i cambiamenti climatici indotti dall’azione umana abbiano un’influenza significativa sulla frequenza, l’intensità, la distribuzione geografica e la durata di avvenimenti estremi, e che questi a loro volta contribuiscano a influenzare i pattern migratori e di dislocamento.

Il dislocamento forzato colpisce milioni di persone, tra cui moltissimi bambini e bambine. Secondo l’Unicef fino a oggi i minori costretti a spostarsi a causa del cambiamento climatico sono rimasti per lo più invisibili. I dati su questo fenomeno, infatti, sono raramente disaggregati per età e la popolazione più giovane ha minor probabilità di passare sotto ai radar, soprattutto in contesti caratterizzati da rapida urbanizzazione, fragilità istituzionale e conflitto.

Per questo l’agenzia delle Nazioni Unite insieme all’Idmc (Internal displaced Monitoring Center) ha analizzato i dati sui dislocamenti dal 2016 al 2021 per comprendere i trend passati, valutarne conseguenze e fare previsioni per il futuro. I risultati di questa analisi sono stati presentati nel report congiunto Children displaced in a changing climate.

Un po’ di numeri

Dal 2016 al 2021 43,1 milioni di bambini sono stati costretti a lasciare le proprie case e comunità a causa di eventi climatici. Tra i quattro fattori considerati dal report (siccità, incendi, tempeste, inondazioni) gli ultimi due sono responsabili del 95% dei dislocamenti forzati.

Le tempeste (storm, termine cappello che include uragani, cicloni, tifoni, tornado, tempeste di neve e di sabbia) hanno causato il dislocamento forzato di 69,7 milioni di persone di cui 21,2 erano minori.

La maggior parte (58,7%) era concentrata nella regione dell’Asia Orientale e del Pacifico, seguita dall’Asia Meridionale (25,7%) e dall’America Latina e i Caraibi (7,9%).

La zona asiatica è stata colpita gravemente anche dalle inondazioni (termine che include esondazioni di corsi d’’acqua, innalzamento dei livelli del mare, di laghi o di riserve idriche, eccessivo ristagno di acqua a seguito di grandi piogge e onde anomale e tsunami) che hanno portato al dislocamento forzato di 58,4 milioni di persone di cui 19,7 tra bambini e bambine. Circa il 64% si trovava in Asia sud-orientale e nell’area pacifica. L’altra zona più colpita dalle inondazioni è stata l’Africa Subsahariana (31%) che soffre però fortemente anche di mancanza di acqua. Del’1,3 milione di minori dislocati a causa della siccità, infatti, ben l’82% si trovava in questa regione.

Per quanto riguarda gli incendi invece, le aree più colpite sono l’America Settentrionale (82% dei minori dislocati), l’Europa e l’Asia Centrale (6,3%) e il Medioriente e Africa Settentrionale. Il rischio maggiore si ha infatti in zone urbanizzate, caratterizzate da intenso sfruttamento agricolo e boschivo.

I Paesi più colpiti

I tre Paesi più colpiti dal dislocamento forzato di minori in termini di valori assoluti sono Filippine, India e Cina, che da sole contano più della metà (23 milioni) dei bambini costretti a lasciare le loro case nel periodo analizzato.

Tutti e tre sono stati interessati in particolar modo da tempeste e inondazioni, e la maggior parte degli spostamenti è avvenuta tra i mesi di aprile e settembre, che coincidono con la stagione dei monsoni.

In India i bambini costretti al dislocamento per inondazioni sono stati 3,9 milioni, 3,7 in Cina e 1,3 nelle Filippine.

In termini di percentuale sulla popolazione totale di bambini al primo posto troviamo invece il Sud Sudan (11,8%), seguito dalla Somalia (10,7%). Altri Paesi interessati in modo significativo sono stati il Bangladesh, l’Indonesia, l’Etiopia, la Nigeria, il Sudan, il Congo, il Niger, il Myanmar, la

Repubblica centrafricana, lo Sri Lanka e il Nepal.

Le tempeste hanno costretto al dislocamento 8,3 milioni di bambini e bambine nelle Filippine, 2,8 in India e 2,6 in Cina.

Tuttavia in percentuale le zone più colpite sono state le isole caraibiche. In primis Dominica, con il 75,8% della popolazione minore che ha dovuto lasciare la propria casa. Poi le Isole Mariana (36%) e Saint Martin (sia la parte francese sia quella neerlandese) con circa il 35%. Altri Paesi coinvolti sono stati Vanuatu, le Fiji, le Isole Vergini e Palau.

Anche a Cuba un terzo dei bambini e delle bambine si è spostato a causa dei fenomeni climatici degli ultimi sei anni, ma l’isola ha in atto delle misure efficaci di allerta ed evacuazione che hanno contribuito alla sicurezza della popolazione. A prendere provvedimenti in questo senso anche le Filippine, l’India, la Cina e il Bangladesh il che, in parte, spiega l’alto numero di bambini e bambine dislocati, visto che avvisando la popolazione con anticipo è possibile organizzare meglio l’evacuazione e portare in salvo più persone, aumentando il numero effettivo dei dislocamenti (e diminuendo quello delle vittime).

La siccità ha costretto al dislocamento 1.3 milione di bambini in 15 stati. Più della metà (730.000) si trovavano in Somalia, 340.000 in Etiopia e 190.000 in Afghanistan. Molto colpiti anche India, Iraq, Angola, Burundi, Madagascar, Brasile, Sud Sudan, Mongolia e Filippine.

Nel caso dei dislocamenti per siccità è spesso difficile separare le cause climatiche da quelle socio-economiche. Per molte persone, specialmente nelle aree più coinvolte, la mancanza d’acqua non rappresenta soltanto un pericolo per la sopravvivenza umana, ma anche per tutto il sistema economico che sostiene le famiglie e le comunità, dal momento che rende impossibile l’agricoltura e l’allevamento.

La raccolta dei dati è quindi più difficile e non sempre è possibile determinare l’impatto netto che la siccità ha avuto nella scelta di spostarsi dal momento che essa è spesso accompagnata da conflitti sulle risorse, fragilità istituzionale, mancanza di servizi e opportunità.

Inoltre il dislocamento a causa della siccità non è repentino come per altri eventi climatici, ma è piuttosto dovuto all’effetto cumulativo di eventi che si ripetono nel tempo, dal momento che la degradazione degli ecosistemi avviene sul lungo periodo, e non è sempre facile da prevedere. Ciò rende anche difficile distinguere chiaramente tra dislocamento (un fenomeno generalmente temporaneo nell’attesa che l’emergenza rientri) e migrazione permanente.

Gli incendi hanno causato il dislocamento di 810.000 bambini, la maggior parte provenienti da Usa (610.000), Canada (47.000) e Israele (31.000), seguiti da Turchia, Australia, Grecia, Siria, Cina, Spagna, Francia, Portogallo e Nuova Zelanda.

Il fatto che ci sia una grande concentrazione di bambini e bambine dislocati in Paesi con una più lunga storia di sviluppo economico è certamente dovuto, come abbiamo visto sopra, al fatto che sono le zone urbane e quelle ad alta intensità agricola e di deforestazione le più soggette a incendi, ma allo stesso tempo non dobbiamo sottovalutare l’impatto di metodi più efficienti di allerta e di raccolta dati.

Quali sono le conseguenze per i e le minori

I bambini e le bambine costretti a spostarsi a causa dei cambiamenti climatici subiscono innanzitutto conseguenze di tipo materiale, come la perdita della casa e delle risorse economiche della famiglia. Spesso devono poi affrontare viaggi durissimi senza cibo e in condizioni sanitarie precarie, andando incontro a fame, malnutrizione e malattie. Per molti e molte lasciare la propria abitazione significa interrompere il ciclo di istruzione, con conseguenze economiche e sociali in termini di opportunità e reddito futuri.

Se vedere il proprio villaggio, comunità o città colpita da fenomeni atmosferici di grande violenza come uragani, onde anomale o incendi, dover assistere impotenti alla morte del bestiame e all’inaridimento dei propri campi per mancanza di acqua, venire strappati dalle proprie radici e doversi lasciare dietro tutto ciò che si ha e si conosce sono eventi incredibilmente traumatici per chiunque, nel caso dei più piccoli e delle più piccole a questo si aggiunge lo stress emotivo causato dalla paura della separazione dal resto della famiglia e dal generalizzato senso di insicurezza, in particolare nei casi di eventi improvvisi che richiedono un’evacuazione o una fuga rapida.

In molti casi le conseguenze di questa sofferenza psicologica hanno strascichi di lungo periodo. Secondo il report dell’Unicef molti dei minori dislocati sviluppano problemi di ansia, depressione, disturbo post-traumatico da stress, disturbi del sonno o dell’attenzione, problemi cronici, disturbi mentali e abuso di sostanze.

Anche il periodo successivo al dislocamento può avere effetti non trascurabili. Spesso infatti i bambini e le loro famiglie si trovano a vivere in campi sovraffollati o periferie urbane ad alta densità abitativa caratterizzate da violenze, tensioni sociali e conflitti per le risorse, luoghi che espongono di più allo sfruttamento, al traffico di minori, a gravidanze precoci o altri tipi di abusi.

Previsioni per il futuro

A partire dai dati raccolti e applicando il modello di previsione dell’Idmc, secondo il report i fenomeni ambientali che creeranno maggior rischio di dislocamento forzato nel futuro saranno le esondazioni di fiumi, che porteranno 96 milioni di bambini e bambine a dover abbandonare le loro case nei prossimi 30 anni. Al secondo posto i cicloni che causeranno 10,3 milioni di dislocamenti in 30 anni, seguiti dalle onde anomale (7,2 milioni in 30 anni).

A fronte di queste previsioni poco rosee si fa dunque impellente la necessità di mettere in atto strategie efficaci di allerta e prevenzione, ma anche di rendere mobili e shock responsive i servizi educativi, sanitari, di protezione sociale e dell’infanzia in modo che possano seguire i minori nei loro spostamenti.

È poi necessario adattare le aree più soggette a eventi catastrofici in modo che possano essere resilienti e preparate, e che abbiamo strumenti per proteggere la popolazione.

Ma prima più di tutto, è necessario educare, preparare e sostenere i bambini e le bambine che dovranno affrontare queste situazioni, fornendo gli strumenti psicologici e un sostegno adeguato per mitigare gli effetti del trauma e permettere loro di far fronte a situazioni di stress con resilienza e serenità.

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