Economia

Quando la finanza guadagnava dai conflitti

Wall Street ha sempre registrato un rialzo durante le guerre del ‘900 (in Corea, in Vietnam, le mondiali). In questi casi, si parla di war rally: che cos’è e perché oggi non si ottengono più gli stessi risultati positivi?
Credit: Redd F 
Tempo di lettura 3 min lettura
19 ottobre 2023 Aggiornato alle 14:00

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da fratture geopolitiche, dalla guerra in Ucraina e, più recentemente, dal conflitto tra Israele e Hamas. I principali effetti collaterali sono, ovviamente, le tragicità a livello sociale e politico, con morti, feriti, città da ricostruire e scelte diplomatiche che influenzano la vita delle persone. Ma su un altro piano, gli eventi bellici e le tensioni geopolitiche condizionano anche l’andamento dell’economia: lampante, per i nostri giorni, è l’aumento generale del costo dei beni e la volatilità dei prezzi di alcuni asset.

Date queste premesse, come si può spiegare la correlazione tra gli eventi bellici e la crescita dei mercati finanziari? “Compra sul rumore dei cannoni, vendi al suono della tromba’’ è la frase (attribuita al banchiere e politico britannico Nathan Rothschild) che meglio spiega il cosiddetto war rally. Questo fenomeno finanziario si contraddistingue per un brusco e inaspettato incremento dei prezzi di un asset a seguito di un periodo di incertezza determinato dalla possibile imminenza di un conflitto.

È fondamentale considerare che ogni guerra deve essere contestualizzata in base al numero degli Stati coinvolti, al territorio in cui si svolgono i combattimenti e alla loro durata; nonostante ciò, questo trend, nella storia, è ricorrente.

Esaminando l’andamento di Wall Street, durante la prima e la seconda guerra mondiale l’indice Dow Jones, corrispondente al prezzo dei principali 30 titoli della borsa di New York, è salito rispettivamente del 21,2 e 23%. Nella guerra di Corea (1950-1953) si è registrato un aumento del 19,6%, mentre quella del Vietnam (1964-1973) ha fatto segnare un +20,5%; meno impattanti le 2 guerre del Golfo con un +0,6% nel 1990 e un +2% nel 2003.

Le cause del fenomeno sono molteplici. Secondi alcuni economisti, l’espansione del debito pubblico, dovuto all’incremento della spesa dei Governi per l’impegno bellico, fa aumentare la quantità di titoli scambiabili e quindi spinge i listini di una potenziale compravendita.

Un’altra ipotesi è legata al fatto che i broker preparano i loro investimenti in prospettiva della ricostruzione a seguito dei conflitti e di una ripresa del mercato; un esempio pratico è quanto successe nel 1942, quando l’iniziale calo del paniere ebbe una virata positiva grazie all’afflusso di investimenti, dimostrando così una fiducia per le truppe alleate e per una futura vittoria a seguito della sconfitta nazista a Stalingrado.

Il trend del rally di guerra sembra non mostrare lo stesso impatto nei tempi recenti. Dal 25 febbraio 2022, giorno dell’invasione russa in Ucraina, al 6 ottobre di questo anno, l’index S&P 500 è pressoché piatto (+0,46%). La mancata corrispondenza di questo fenomeno è da attribuire al mercato stesso poiché, in un sistema globalizzato e che connette le diverse economie, a causa della crisi energetica (legata alla guerra) e della politica monetaria restrittiva applicata dalle banche centrali, si è creata una situazione di incertezza che, di fatto, ostacola anche il rally finanziario.

Leggi anche
I soldati russi marciano durante una prova della parata militare del Giorno della Vittoria a Mosca, Russia, 7 maggio 2023.
Armi
di Alice Dominese 3 min lettura
Un palestinese ispeziona le rovine della Torre Watan, distrutta dagli attacchi aerei israeliani, Gaza, 8 ottobre 2023
Guerra
di Roberto Sciarrone 4 min lettura