Ambiente

La crisi del clima ti costa 16 milioni di dollari di danni l’ora

Lo quantifica un nuovo studio internazionale, pubblicato su Nature Communications, utile per calcolare anche le perdite e danni del possibile fondo Loss & Damage
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10 ottobre 2023 Aggiornato alle 14:00

Ogni ora, negli ultimi vent’anni, la crisi del clima ci è costata 16 milioni di dollari in danni dovuti dagli eventi meteo estremi.

Dalle ondate di calore che attraversano l’Europa alle inondazioni che colpiscono il Sud-est asiatico, sino agli incendi del Nord America o la siccità dell’Africa, come ben sappiamo il surriscaldamento globale rende ogni fenomeno meteo più intenso portando a una aumento di costi e risorse per affrontarlo, soprattutto rispetto ai danni che il nuovo clima è in grado di creare alla popolazione.

In un nuovo studio internazionale pubblicato su Nature Communications un team di ricercatori ha provato a calcolare la cifra globale relativa all’aumento dei costi direttamente attribuibili al riscaldamento globale causato dall’uomo, arrivando a un dato che è intorno ai 140 miliardi di dollari di costi medi all’anno dal 2000 sino al 2019.

Ovviamente, la cifra è una media, dato che per esempio negli ultimi anni (che sono gli otto più caldi della storia) gli eventi meteo impattanti sono più frequenti e intensi (solo nel 2022 per esempio si parla del doppio, di 280 miliardi di dollari).

La cifra, che porta a calcolare 16 milioni di dollari all’ora in danni, è oltretutto sottostimata perché mancano molti dati relativi ai paesi meno sviluppati dove, tra l’altro, spesso la crisi del clima colpisce più duramente, come nel sud del mondo. Il tutto poi non include i danni relativi al calo della resa dei raccolti agricoli imposto dal nuovo clima, oppure gli effetti dell’innalzamento del livello del mare sulle città costiere.

Inoltre, spiegano i ricercatori, secondo quanto calcolato si stima che la crisi del clima abbia colpito direttamente almeno 1,2 miliardi di persone negli ultimi 20 anni.

In generale la maggior parte dei costi, circa due terzi, è relativo direttamente all’impatto sulle vite e le perdite umane, il restante sulla distruzione di edifici e infrastrutture.

La ricerca - anche in vista della Cop28 di Dubai - potrebbe essere significativa, a livello di metodo, per tentare di calcolare quel fondo Loss & Damage citato più volte alle Cop, ovvero le perdite e danni soprattutto nei Paesi più poveri, al centro oggi delle rivendicazioni di quei Paesi che meno emettono ma più pagano il conto per l’impatto della crisi climatica innescata dalle nazioni più ricche a causa delle emissioni.

Secondo Ilan Noy, della Victoria University di Wellington (Nuova Zelanda), uno degli autori del paper, servirebbe però un quadro più completo per stabilire il reale impatto - in costi - della crisi climatica.

«I dati sui decessi dovuti alle ondate di caldo erano disponibili solo in Europa. Non abbiamo idea di quante persone siano morte a causa delle ondate di caldo in tutta l’Africa sub-sahariana», ha ricordato.

Nello studio si legge inoltre che gli anni con i costi climatici complessivi più elevati sono stati il 2003, quando un’ondata di caldo colpì l’Europa; il 2008, quando il ciclone Nargis colpì il Myanmar e il 2010, quando la siccità ha colpito la Somalia e un’ondata di caldo ha colpito la Russia.

A livello di proprietà, devastanti sono stati gli eventi meteo nel 2005 e nel 2017, quando gli uragani hanno colpito gli Stati Uniti.

Infine, anche Noy spera che presto la metodologia utilizzata, che tiene conto dei costi in termini di vite e strutture, possa essere utile «per iniziare a quantificare la quantità di denaro di cui abbiamo bisogno nel fondo Loss & Damage».

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