Ambiente

La percezione del rischio climatico dipende da dove vivi

Secondo uno nuovo studio Uk, chi abita nelle città percepisce il cambiamento climatico come un fattore di rischio maggiore rispetto a chi popola le aree rurali
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Francesco Califano  

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2 ottobre 2023 Aggiornato alle 13:00

Eventi meteorologici estremi, ondate di calore, incendi, inondazioni.

Gli effetti della crisi climatica sono sotto gli occhi di tutti. Sempre più persone assistono a fenomeni climatici anomali. Sempre più persone, in diverse parti del mondo, ne subiscono sulla propria pelle le conseguenze: danni alle infrastrutture, alle coltivazioni, alla salute fisica e mentale.

Non tutti, però, consideriamo il cambiamento climatico come una minaccia alla nostra sopravvivenza. Non tutti abbiamo la stessa percezione del rischio.

Al di là delle considerazioni fisiche oggettive quanto all’equilibrio del sistema climatico, quello della percezione - individuale e soggettiva - è un campo perlopiù inesplorato, e che tuttavia riceve sempre più attenzione dai sociologi dell’ambiente, interessati a comprendere il ruolo della dimensione percettiva sulla vita delle popolazioni più vulnerabili al cambiamento climatico.

Secondo uno studio recente di cui rende nota il quotidiano The Conversation, e che si basa su un campione rappresentativo di 1.071 intervistati provenienti da diverse aree del Regno Unito, la percezione del cambiamento climatico come rischio esistenziale varia notevolmente a seconda del luogo in cui si vive, soprattutto se si considerano come variabili principali zone urbane e zone rurali.

I primi dati che emergono da questa ricerca non rivelano niente di inedito, ma anzi corroborano una tesi già ampiamente dimostrata da studi precedenti.

Se si cerca di quantificare il livello di place attachment, vale a dire quel sentimento di forte attaccamento al luogo di origine (in questo caso di domicilio), esso risulta più pronunciato negli individui che risiedono nelle campagne o in piccoli villaggi, gli stessi in cui si riscontra una maggiore tendenza alla tutela dell’ambiente. Ciò si spiegherebbe anche con il fatto che le economie di chi abita in contesti meno industrializzati spesso dipendono totalmente dalla conservazione del suolo e dei terreni.

Quando, tuttavia, si indaga la variazione della percezione del rischio, i risultati sono opposti. I ricercatori hanno constatato che chi vive in zone altamente urbanizzate è contemporaneamente meno attaccato emotivamente al suo ambiente circostante e più spaventato dinnanzi alle conseguenze che il cambiamento climatico potrebbe avere su di esso.

Al contrario, gli abitanti di zone rurali sarebbero meno preoccupati dagli effetti della crisi ecologica.

Tre sono gli elementi di valutazione che gli autori di questo studio hanno adoperato per interpretare i dati raccolti e fornire una spiegazione plausibile e consistente con la letteratura precedente: consapevolezza, esperienza e resilienza.

In primo luogo, le popolazioni che vivono in ambienti poco urbanizzati e lontani dai grandi centri di potere sono spesso meno consapevoli e informati rispetto a chi abita nelle città.

Tuttavia, i ricercatori sottolineano che questo avrebbe più a che fare con il grado di istruzione piuttosto che con il luogo di residenza.

In secondo luogo, rispetto a chi risiede in contesti urbani densamente popolati, chi vive in zone tipicamente rurali è solitamente meno esposto a eventi estremi quali ondate di calore perché circondato da ambienti più verdi e alberati che contribuiscono a rendere più miti le temperature.

Infine, le popolazioni rurali sono solitamente più resilienti al cambiamento.

Come emerso anche da studi effettuati in Ghana, per esempio, spesso a un maggiore livello di vulnerabilità corrispondono maggiori capacità di adattamento.

A causa del rapporto più stretto con la natura, chi vive in aree caratterizzate da una spiccata variabilità climatica avrebbe pertanto un approccio più resiliente e proattivo dinnanzi alle trasformazioni dell’ambiente circostante.

Nonostante di primo acchito possa sembrare sorprendente che place attachment e percezione della minaccia climatica non siano correlati positivamente, secondo questo studio ci sono buone ragioni per credere che in determinati casi ciò sia logico sulla base di considerazioni che riguardano l’istruzione, l’esposizione al rischio, l’attitudine nell’affrontare il cambiamento.

Se è vero che la crisi climatica occupa uno spazio sempre maggiore nella vita di ciascuno di noi, va sottolineato che il sentimento di preoccupazione ed emotività legato ai suoi effetti è soggettivo, contestuale e mutevole.

In questo senso, l’insegnamento che possiamo trarre da questo studio è la necessità di rimettere al centro la dimensione percettiva, centrale nell’influenzare quotidianamente il nostro habitus sociale di individui e cittadini.

Nel caso dell’emergenza climatica ciò è più che mai rilevante.

Dal momento che il modo di sentire e fare esperienza delle cose influenza profondamente le nostre abitudini, i nostri comportamenti e le nostre (in)azioni, operare una rivalutazione della percezione può donarci chiavi di lettura utili a far fronte, in maniera collettiva, a quest’epoca straordinaria di straordinarie trasformazioni.

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