Futuro

Terraxcube: che cosa ti insegna il simulatore di climi estremi?

Attivo a Bolzano, nel centro di ricerca Eurac, riproduce gli scenari climatici più estremi, presenti e futuri. Per studiare il comportamento e la resilienza degli esseri viventi
Credit: Terraxcube.eurac.edu
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19 settembre 2023 Aggiornato alle 20:00

All’interno del team di ricerca del centro Eurac di Bolzano è stata sviluppata una tecnologia che potrebbe aiutare nell’adattamento a nuovi scenari climatici.

Si tratta del TerraXcube, un simulatore di climi estremi.

Grazie a esso, ricercatrici e ricercatori studiano come le condizioni fisiche di persone, animali e piante cambiano in scenari ambientali estremi o insoliti. Inoltre, il team svolge esperimenti per indagare l’impatto dei cambiamenti - di temperatura, pressione o altre condizioni - sugli ecosistemi. Senza incorrere nei pericoli della simulazione sul campo e nei costi dei laboratori in ambienti estremi, nel Terraxcube si possono svolgere gli esperimenti in modo accurato e continuo, focalizzandosi sulle condizioni ambientali più difficili.

Tre cubi, numerose applicazioni

La peculiarità del progetto è combinare una specie di camera ipobarica con delle simulazioni avanzate di parametri climatici: temperatura, pressione, pioggia, neve. Il tutto in un ambiente protetto e sicuro per ricercatrici e ricercatori.

La struttura è composta da tre “cubi” di diverse dimensioni. Il più grande ha un volume di 360 metri cubi; il minore è composto da quattro sale, o camere di simulazione, indipendenti. C’è poi una “mini” camera di 4 metri cubi, dove si testano cambiamenti rapidi di variazione o umidità, oppure si testano prototipi industriali.

All’interno si possono ospitare persone, piante e altri organismi, anche per lunghi periodi. E si possono riprodurre tutti gli scenari climatici della Terra: dal freddo sulla vetta dell’Everest, con pressione bassa e ossigeno rarefatto, al caldo dei deserti africani. La tecnologia può simulare vento fino a 30 metri al secondo, e temperature in una scala che va -40 gradi fino a 60 gradi.

Le applicazioni sono innumerevoli: finora il centro si sta occupando, oltre che di sperimentazioni industriali e test di prototipi, soprattutto di applicazione medica e ricerca ecologica.

Nelle camere di simulazione si testano macchinari e materiali, per scoprirne la reazione a diversi ambienti e a diverse condizioni climatiche. Oppure vengono simulate situazioni di soccorso in condizioni climatiche avverse (come un arresto cardiaco in alta montagna).

Ma, soprattutto, vengono utilizzate le camere climatiche per studiare il comportamento e la resilienza degli esseri viventi in condizioni ambientali estreme, come possono essere quelle derivanti dai cambiamenti climatici.

I risvolti della ricerca per l’adattamento al cambiamento climatico

Una ricerca del genere può essere particolarmente utile se si considerano che gli ambienti conosciuti si stanno modificando e si modificheranno sempre di più per effetto dei cambiamenti climatici. Le condizioni che conosciamo potrebbero subire variazioni, ed è per questo che si parla da diversi decenni di adattamento: vengono studiate strategie per rispondere ai cambiamenti cercando di minimizzare i danni.

Poter prevedere con un po’ di anticipo i possibili scenari permetterebbe di arrivare preparati e studiare soluzioni.

Ad esempio, è noto che le piante (ma anche animali e microorganismi) si sposteranno di altitudine come conseguenza dei cambiamenti climatici e in particolare dell’aumento delle temperature. Si prevede che le specie vegetali si potrebbero spostare dai 600 ai 1.000 metri più in alto, subendo quindi una variazione nell’esposizione ai raggi solari, alla temperatura, alla pressione e alle caratteristiche del suolo in cui si troveranno. Tuttavia, non è ancora noto se e come questi esseri viventi si adattano a nuove quote.

L’esperimento Upshift condotto da Eurac, insieme alle università di Innsbruck e di Verona, sta studiando proprio come variano le piante al variare dell’altitudine e quindi al diminuire della pressione atmosferica.

L’esperimento preleva campioni di piante dall’ecosistema alpino e ne controlla in particolare la traspirazione e la fotosintesi in diverse situazioni di pressione.

L’ipotesi è che la minor pressione in alta quota faccia sì che le piante trasudino più vapore acqueo, quindi soffrano maggiormente di disidratazione e la loro crescita venga penalizzata. Uno scenario non inverosimile, a cui si vuole cercare di reagire nel modo adeguato.

Le quattro stanze dell’esperimento presentano altitudini diverse: 260 (altitudine locale, quella di Bolzano), 1.500, 2.500 e 4.000 metri. I dati che interessano di più il progetto sono quelli relativi a un’altitudine di 2500 metri: è questo lo scenario più probabile che potrebbe verificarsi.

Una seconda squadra di ricercatori e ricercatrici studia poi quali microorganismi possono adattarsi meglio alle medesime condizioni e supportare le piante nella sopravvivenza.

Tra il 2020 e il 2021 un’altra ricerca ha riguardato i vitigni dell’Alto Adige: secondo una previsione uscita su Scientific Reports, in Alto Adige nei prossimi ottanta anni ci saranno fino a 5 gradi in più .

Ci sarà più siccità e più eventi estremi come ondate prolungate di calore, tempeste e piogge intense. Tutto questo potrebbe danneggiare i vitigni, e l’esperimento, simulando queste condizioni, ha permesso di analizzare l’effetto dello stress da siccità. Le temperature venivano aumentate fino a 40 gradi, alcune piante innaffiate e altre no, per osservare sia i problemi con il calore sia i tempi di ripresa.

La quantità di esperimenti simili da immaginare per il futuro è innumerevole, offrendo nuove prospettive alla ricerca ecologica e nuovi spunti per adattare i territori al cambiamento climatico.

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