Ambiente

Alaska: Biden espande le aree protette ma le trivelle incombono

Il presidente Usa vuole proteggere un’area del North Slope. Conosciuta per essere una delle più grandi riserve di petrolio a livello globale, ospita oltre 40 comunità indigene e una ricca fauna selvatica
Credit: Nathaniel Wilder
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12 settembre 2023 Aggiornato alle 11:00

Il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha recentemente annunciato la protezione di un territorio ampio più di 40.000 km quadrati all’interno del North Slope, una regione dell’Alaska che si trova sul versante nord occidentale della Brooks Range lungo la costa dell’Oceano Artico.

L’iniziativa, accolta con favore ed entusiasmo da numerose organizzazioni votate alla conservazione del mondo naturale - tra cui il Sierra Club, fondato nel 1892 da John Muir -, copre quasi la metà della cosiddetta National Petroleum Reserve - Alaska (Npr-a), la più grande distesa di terra pubblica della nazione, ufficialmente designata per l’estrazione di petrolio e gas a uso e consumo della marina militare statunitense nel 1923, per poi essere trasferita sotto il controllo del Dipartimento dell’Interno dal Naval Petroleum Reserves Production Act del 1976.

Nonostante sia conosciuta quasi esclusivamente per essere una delle più grandi riserve di petrolio a livello globale, la Nrp-a è un habitat fragile che ospita una ricca fauna selvatica già messa a dura prova dai cambiamenti climatici, come orsi polari, caribù e numerose specie di uccelli migratori che, ogni primavera, arrivano a milioni per nidificare e crescere i propri piccoli, tanto da essere stata ribattezzata la “Heathrow in capo al mondo”.

Inoltre, l’area è abitata da più di 40 comunità indigene che dalle risorse naturali, acqua e fauna selvatica comprese, dipendono per la loro sopravvivenza e quella delle loro antiche tradizioni.

Come parte del suo programma di azione per il clima, la Casa bianca ha inoltre annullato i contratti di locazione concessi dall’ex presidente Donald Trump all’interno dell’Arctic National Wildlife Refuge - un’importante riserva situata a nord ovest dell’Artico - e aumentato, per la prima volta dal 1920, le royalties che le compagnie di combustibili fossili devono pagare per estrarre petrolio, gas e carbone dalle terre federali, nonché decuplicato il costo delle obbligazioni che le compagnie devono pagare prima di iniziare a trivellare.

Come tutte le belle storie, però, anche questa ha come co-protagonista un mostro la cui forza non è da sottovalutare. Si tratta del progetto Willow della ConocoPhillips, approvato proprio dal Presidente Biden tra le proteste di attivisti e gruppi ambientalisti, il 13 marzo di quest’anno.

Secondo le stime, l’area in cui verrà sviluppato il progetto Willow conterrebbe all’incirca 600 milioni di barili di petrolio la cui immissione nel mercato, però, sarebbe tuttora sconosciuta visto che il processo di estrazione inizierà tra un numero imprecisato di anni e la fase preparatoria implicherà la costruzione di strade, condotte per il trasporto del greggio, un nuovo impianto di lavorazione, un aeroporto, una cava per l’estrazione di ghiaia, e un’isola artificiale per la consegna dei materiali via mare. Il tutto nel bel mezzo della tundra artica, habitat tuttora pressoché incontaminato e tra gli ultimi avamposti di una vita selvaggia che ha ispirato romanzieri e poeti per centinaia di anni, casa di popolazioni indigene e banco di scuola per biologi e conservazionisti che lottano per proteggere il suo delicato equilibrio.

La ConocoPhillips, una delle principali compagnie petrolifere al mondo, la cui nascita è riconducibile addirittura all’impero di John Davison Rockefeller, detiene i contratti di locazione per lo sviluppo del petrolio nella regione dalla fine degli anni ‘90. Tuttavia, la scoperta dell’immenso giacimento chiamato Willow è avvenuta solo nel 2016 e ha dato inizio a una serie di battaglie legali per ottenere i permessi di estrazione a cui ha messo un punto l’Amministrazione Biden che, nel marzo scorso, ha approvato 3 siti di perforazione per un totale di massimo 199 pozzi.

Nonostante il progetto sia stato notevolmente ridotto rispetto alle richieste iniziali della ConocoPhillips, Willow appare chiaramente in netta controtendenza rispetto alle dichiarazioni degli Stati Uniti di voler supportare l’eliminazione graduale dei combustibili fossili a livello globale.

Oltre a danneggiare irrimediabilmente l’habitat di numerose specie, tra cui i caribù che usano da sempre queste terre per la loro migrazione stagionale, secondo il Natural Resources Defense Council, l’estrazione e la combustione del petrolio proveniente da Willow immetterà in atmosfera circa 260 milioni di tonnellate di anidride carbonica durante i 30 anni di vita del progetto. Dati da capogiro se pensiamo che la comunità scientifica globale ha esplicitamente dichiarato che per mantenere l’innalzamento della temperatura globale sotto l’1.5°C - soglia limite al di là della quale sarà difficile, per l’uomo e per le altre specie che vivono sul Pianeta, adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici - le nazioni devono fermare immediatamente i permessi di estrazione di petrolio, gas e carbone.

A soli due mesi dalla prossima Cop, che avrà luogo a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre, il progetto Willow è solo uno dei mostri che la comunità scientifica e le delegazioni presenti si troveranno a combattere.

Un ennesimo incontro su cui tutti dobbiamo tenere gli occhi puntati ma che, per ironia della sorte, si svolge proprio in una terra governata da un sovrano come Mohammed bin Rashid Al Maktum, che sembra trovarsi perfettamente a suo agio tra i draghi sputafuoco.

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