Ambiente

La fuga dei castori in Alaska

I roditori nordamericani stanno migrando verso l’Artico, oggi sempre più caldo e accogliente per molti esemplari. Con conseguenze sull’ecosistema, sull’economia e sulla salute umana
Credit: Tim Umphreys
Tempo di lettura 4 min lettura
3 aprile 2022 Aggiornato alle 20:00

«La domanda chiave da porsi, ovunque ci si trovi nell’Artico, è: quanto ci vorrà prima che i castori arrivino lì?». Questo è l’interrogativo dell’ecologista Ken Tape (University of Alaska Fairbanks), riportato dalla rivista americana High Country News. «Quando arriveranno, non sarà più lo stesso».

Tape è un ricercatore che si occupa di cambiamento climatico e dei suoi effetti nell’ecosistema. Recentemente ha analizzato l’espansione dei castori nella regione artica, all’interno dello studio “Beaver Engineering: Tracking a New Disturbance in the Arctic”, pubblicato nel 2021 dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA). Come anticipa il titolo del report, i castori sono stati classificati come nuovo disturbo nella zona.

Nello specifico, lo studio ha rilevato che i castori nordamericani stanno progressivamente migrando verso la tundra artica dell’Alaska, un’area che è sempre stata ostile a questa specie. Complice il riscaldamento globale: con l’aumento delle temperature, infatti, la vegetazione è cresciuta e, in particolare, sono aumentati gli arbusti utilizzati da questi animali per nutrirsi e costruire dighe.

«Ci sono aree dell’Alaska che non avevano tracce di castori 50 anni fa e che ora ne sono apparentemente sature» ha scritto il Guardian riportando le parole di Tape. Il report, infatti, ha scoperto più di 12.000 stagni creati dai castori nell’Alaska occidentale (il doppio se consideriamo i dati del 2000).

Un altro studio, pubblicato nel 2020 da Environmental Research, ha raggiunto risultati analoghi. «In un’area di ricerca di 100 km² vicino a Kotzebue, il numero di dighe è aumentato notevolmente da 2 a 98 tra il 2002 e il 2019. In un’area di 430 km², che comprende l’intera penisola settentrionale di Baldwin, il numero di dighe è aumentato da 94 a 409 tra il 2010 e il 2019».

Se da una parte l’aumento dei castori può portare a maggiori profitti per i cacciatori della zona e all’aumento della biodiversità, dall’altra le conseguenze di questa continua migrazione potrebbero rivelarsi fatali, per l’ambiente e le comunità locali.

Il già citato studio della NOAA ha elencato alcuni dei danni che questi animali procurano al permafrost nell’Alaska nord-occidentale: «Abbiamo scoperto che i castori sono il fattore dominante (66%) che controlla l’aumento dell’estensione delle acque superficiali, le quali scongelano il permafrost sottostante mentre inondano la vegetazione della tundra».

Proseguendo sempre sul versante ambientale, bisogna tener conto che le dighe costruite dai castori rallentano il flusso d’acqua e questo può impedire ad alcuni pesci di raggiungere determinati fiumi in alcune regioni. Una preoccupazione per le comunità locali, che a lungo andare vedrebbero privarsi sia di una fonte di cibo che dell’attività di pesca, con possibili ripercussioni economiche. Inoltre, la presenza delle dighe può limitare l’accesso delle barche durante le battute di caccia.

Ci potrebbero essere ripercussioni anche sulla la salute umana. I castori, infatti, possono diffondere il parassita giardia nell’acqua potabile, provocando alle persone che la bevono infezioni intestinali. Inoltre, lo scioglimento del permafrost rilascia quantità di mercurio che può essere assorbito dai pesci e, successivamente, ingerito dagli umani.

Come ha riportato Inside Climate News, «Sebbene la quantità di mercurio nei pesci prelevati dagli stagni dei castori artici sia inferiore al livello di pericolo stabilito dall’Agenzia statunitense per la protezione ambientale, i potenziali effetti sulla salute delle popolazioni autoctone stanno attirando un crescente controllo da parte dei ricercatori».

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