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Amici a 4 zampe: come segnalare i sintomi di demenza?

Con l’avanzare degli anni, i cani e i gatti sono gli animali domestici più comunemente colpiti da disfunzioni cognitive. Ma quali sono i segnali da intercettare?
Credit: Goochie Poochie Grooming
Tempo di lettura 4 min lettura
13 settembre 2023 Aggiornato alle 12:00

L’anzianità è un fattore che inevitabilmente favorisce l’insurrezione di malattie, causando perdite del normale funzionamento fisico e cognitivo; questo negli esseri umani, ma anche nei nostri animali domestici: i gatti e i cani vivono fino a diventare anziani, sviluppando comunemente alcuni cambiamenti comportamentali.

Cani e gatti vittime di demenza

La disfunzione cognitiva canina (Ccd) è l’analogo canino della malattia di Alzheimer - una fisiopatologia multiforme che comprende danni vascolari, celebrali e neuronali -. Secondo uno studio condotto dalla Science Direct, l’insurrezione di demenza sarebbe stimata dal 14% al 35% della popolazione canina di età pari o superiore a 8 anni.

Per quanto riguarda i gatti, invece, si considera che quasi un terzo della specie felina di età pari o superiore a 15 anni sia molto soggetta a una serie di sintomi causati da disordini che colpiscono il cervello. Questa percentuale aumenta fino a oltre il 50% per coloro che superano i 15 anni di età.

In tal modo, si verificano una serie di condizioni interagenti simultanee che, molto spesso, i proprietari e i veterinari confondono con il “normale processo di invecchiamento” – quindi molte situazioni curabili vengono trascurate senza essere trattate.

Sebbene non si tratti di una malattia specifica, poiché essa stessa colpisce il pensiero, il comportamento e la capacità di compiere le consuete attività quotidiane, gli esperti considerano questi dati piuttosto conservativi e si soffermano sui segnali che gli animali domestici mostrano prima di esserne totalmente affetti.

I segnali delle disfunzioni cognitive

Gli esperti ritengono fondamentale capire il comportamento “normale” del proprio animale in questa fase di contrazione della malattia. La Science Direct lo definisce come processo lentamente progressivo che coinvolge un periodo di almeno diversi mesi.

Oltre all’età avanzata, altri fattori di rischio di Ccd possono includere il sesso (le femmine sono più soggette, soprattutto se sterilizzate), oppure le dimensioni corporee (i cani più piccoli hanno un rischio più elevato rispetto ai cani di stazza maggiore).

Alcuni dei più comuni segnali di declino cognitivo possono essere uno stato di confusione e disorientamento, ma anche l’amnesia delle consuete abitudini di addestramento in casa, oppure un cambio di rotta nel ciclo sonno-veglia.

In tal caso, il professore presso l’Università del Wisconsin Starr Cameron osserva che questi fattori risultano più accentuati nei gatti; i felini tendono a un’eccessiva vocalizzazione, cambiamenti nell’interazione con gli esseri umani. «Alcuni stanno svegli tutta la notte e vocalizzano. Escono dalla lettiera e non riescono più a trovarla».

La diagnosi

Dal momento in cui vengono individuati segnali ambigui nel comportamento del proprio animale, il primo passo è quello di informare in maniera tempestiva il proprio veterinario. Secondo il veterinario canadese e direttore di CanCog Gary Landsberg. «Molte condizioni fisiche, come il dolore artritico, il cancro, la perdita dell’udito o della vista, possono provocare sintomi che imitano la demenza negli animali domestici; tali circostanze devono essere escluse prima di diagnosticare un disturbo cognitivo. Un animale può avere disturbi fisici e demenza contemporaneamente, così come una persona anziana affetta da demenza può avere altri problemi medici legati all’età».

Per aiutare i nostri animali domestici, sarà importante migliorare e favorire le condizioni dell’ambiente (mettendo tappeti per casa che li facciano sentire al sicuro, oppure insegnandogli dei nuovi comandi e premiandoli di volta in volta); questo servirà a arricchire l’attività celebrale mantenendo alta la loro interazione sociale.

Gli scienziati stanno portando avanti alcuni studi innanzitutto analizzando il tessuto celebrale post-morte degli animali domestici con l’obiettivo di capire meglio come invecchia il cervello di un cane. Inoltre, sono stati sviluppati diversi test comportamentali utili a misurare oggettivamente le capacità cognitive del cane e i relativi deficit.

Seppur non sia noto constatare se è possibile prevenire il declino cognitivo negli animali domestici, Gruen sottolinea che si tratta di una malattia cronica, lentamente progressiva; quindi il nostro contributo diventa fondamentale. «Non c’è motivo per cui un animale domestico con disfunzione cognitive non possa godere di una buona qualità di vita per alcuni anni».

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