Culture

Perché ci avete salvato? Perché siamo italiani

Il film Comandante di De Angelis su Salvatore Todaro, Capitano di Corvetta e sommergibilista della Regia Marina, ha aperto la Mostra del Cinema di Venezia, ricordando la sacralità della legge del mare
Pierfrancesco Favino e Edoardo De Angelis alla prima del film "Comandante", durante l'80° Mostra del Cinema di Venezia
Pierfrancesco Favino e Edoardo De Angelis alla prima del film "Comandante", durante l'80° Mostra del Cinema di Venezia Credit: ANSA/CLAUDIO ONORATI
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1 settembre 2023 Aggiornato alle 18:00

Tra tuoni, fulmini e saette, in un cielo che più plumbeo non si può ha inaugurato l’80esima Mostra internazionale del Cinema di Venezia.

Ad aprire ufficialmente la kermesse è stato Comandante, l’atteso film di Edoardo De Angelis su Salvatore Todaro, Capitano di Corvetta e sommergibilista della Regia Marina, protagonista di un celebre atto di eroismo durante la seconda guerra mondiale.

Siamo nell’ottobre del 1940 e, rinunciando a trascorrere il resto della propria esistenza tra le braccia della splendida moglie grazie al pensionamento garantito in quanto invalido di guerra, Todaro sente il richiamo al dovere e si imbarca nell’Oceano Atlantico con il sommergibile Cappellini. Dopo aver risposto al fuoco, silurato e affondato un piroscafo belga (che si scoprirà poi trasportare materiale bellico per gli inglesi), decide - rischiando di sacrificare la vita propria e del suo equipaggio oltre che violando le regole imposte dagli alleati tedeschi – di far valere la legge del mare sulla ragion di stato, imbarcando sul proprio battello 26 naufraghi della nave nemica.

Ricordiamo che Todaro era sì un militare fascista ma che si considerava prima di tutto monarchico e uomo di mare e che, tra i naufraghi posti in salvo, ben 5 erano africani, nonostante in quei tempi vigessero in Italia le leggi razziali.

Il film, che narra un episodio già ricostruito in modo molto simile dallo stesso regista insieme a Sandro Veronesi (qui sceneggiatore) nel bel libro a quattro mani dal titolo omonimo, riesce a commuovere, divertire e far pensare, facendo percepire in modo plastico il sangue, il sudore e il senso di precarietà costante di questa band of brothers sottomarina che abita gli spazi claustrofobici e dall’umidità malsana del “pesce di ferro” e che, pur parlando una babele di dialetti diversi, è accomunata da una grande umanità che per due ore ci fa dimenticare i più deprecabili particolarismi e vizi italici.

«Perché ci avete salvato?», chiede alla fine l’ufficiale belga a Todaro. «Perché siamo italiani».

Unica nota un po’ stonata la parte iniziale, dove una serie di figure femminili, spesso rappresentate nude o con indosso solo un cappello da ufficiale di marina in una sorta di parodia involontaria a metà tra Tinto Brass e Fassbinder, cercano di esprimere una sorta di voce controcampo, fatta di erotismo e di calore corporeo, in contrapposizione con il freddo presagio di morte che aleggia tra i loro uomini in partenza.

Pur non avendo probabilmente la statura per vincere il Leone d’Oro (si tratta di un film quasi minimalista, praticamente privo di effetti speciali e di particolari virtuosismi artistici), Comandante è un’opera importante che ci ricorda la civiltà mediterranea a cui apparteniamo e spiega cosa significhi essere italiani, nel senso più autentico e lontano dalle strumentalizzazioni politiche del caso.

Se da una parte il film celebra in modo appassionato estro, umanità e genio italico, dall’altra sembra fatto apposta per mandare un messaggio quanto mai urgente ai “piani alti”, in un periodo come quello attuale in cui il tema dell’immigrazione è tornato prepotentemente alla ribalta sulle prime pagine dei giornali (il vicepremier Salvini era presente in sala durante la serata di gala).

Difficile, dopo aver visto il film, immaginare la faccia e il corpo di Todaro separati da quelli dell’onnipresente Pierfrancesco Favino, che parla con accento veneto e riesce a esprimere alla perfezione l’istrionismo del personaggio, tormentato dal dolore fisico perenne dovuto a un grave incidente del passato oltre che dal peso della responsabilità delle scelte che si trova a compiere quotidianamente.

Toccanti la parole dello stesso Favino, accolto al Lido con applausi scroscianti e richieste di selfie, in tema di accoglienza e solidarietà: «vengo da una famiglia in cui dovevo cedere la mia camera se i miei portavano a casa un ragazzo preso al semaforo, sarà perché sono di origini del Sud, dove se si mangia in sei si può mangiare in otto. La mia porta è sempre stata aperta».

Per chi volesse approfondire il tema, l’obbligo di salvataggio in mare della vita umana, derivante da una consuetudine marittima non codificata e risalente nel tempo, è oggi posto a fondamento di numerose convenzioni internazionali che sono di rango sovraordinato rispetti ai diritti delle singole nazioni.

Tra queste convenzioni, assumono particolare rilevanza la Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare (Solas- Safety of Life at Sea, Londra, 1974), la Convenzione sulla ricerca e il salvataggio marittimo (Sar- International Convention on Maritime Search and Rescue, Amburgo, 1979) e la Convenzione Onu sul Diritto del Mare (Unclos – United Nations Convention on the Law of the Sea, Montego Bay, 1982).

Da tale quadro normativo emerge che il suddetto principio sia posto, pur con alcune limitazioni ed eccezioni (in sostanza l’ assistenza non deve mettere a repentaglio la sicurezza della nave soccorritrice e del suo equipaggio), tanto in capo ai singoli comandanti di navi quanto agli stessi Stati, e quest’obbligo vale indipendentemente dalla nazionalità o dallo status delle persone da soccorrere o dalle circostanze in cui si trovano. Per l’Italia, inoltre, valgono gli obblighi derivanti dal Regolamento UE n.656/2014 e, a livello nazionale, dal Codice della navigazione, dal Piano Nazionale per la Ricerca e il Salvataggio in mare (DPR 662/1994, attuativo della Convenzione SAR) e dal Decreto Interministeriale 14/07/2003, che ripartisce le competenze alle autorità preposte ai controlli in mare.

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