Diritti

Il Cile annuncia un programma di ricerca dei desaparecidos

Il presidente Gabriel Boric ha istituito un piano nazionale per far luce sulle sorti delle persone scomparse sotto il regime Pinochet (dal ‘73 al ‘90)
Il presidente del Cile Gabriel Boric
Il presidente del Cile Gabriel Boric Credit: EPA/TERESA SUAREZ
Alessia Ferri
Alessia Ferri giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
5 settembre 2023 Aggiornato alle 08:00

Siamo abituati ad accostarli principalmente alla dittatura militare argentina, ma i desaparecidos riguardano anche la storia di un altro Paese del Sud America, il Cile, che sotto il regime di Augusto Pinochet, durato dal 1973 al 1990, conobbe orrori indicibili.

Salito al potere dopo un colpo di Stato, il generale instaurò subito un clima di terrore e chi provò a opporsi pagò molto spesso con la vita. Deportazione, tortura o morte erano infatti il ventaglio delle possibilità che spettava ai dissidenti.

Anche se è molto complesso fare stime ufficiali, i numeri considerati attendibili parlano di 40.175 persone vittime di crimini che spaziano dall’incarcerazione, alla tortura, all’esecuzione. Di questi, 1.092 risultano ancora scomparsi e 377 vittime di esecuzioni politiche. Fino a oggi sono stati identificati i resti di soli 307 corpi.

Nonostante le famiglie da decenni facciano pressioni per conoscere la sorte dei loro familiari, di quel periodo storico il Governo non si era mai occupato molto. Le cose ora sembrano essere, almeno nelle intenzioni, cambiate.

In occasione della Giornata internazionale delle vittime di sparizioni forzata (30 agosto) e a un mese circa dal 50° anniversario del colpo di stato che portò Pinochet al Governo, infatti, il presidente cileno Gabriel Boric ha annunciato l’istituzione di un piano nazionale per la ricerca dei desaparecidos.

«Questa è la prima volta in assoluto che lo Stato si assume la responsabilità della perquisizione, il che è essenziale perché i crimini sono stati commessi dallo Stato e dai suoi agenti nel contesto di una politica di repressione», ha affermato Luís Cordero, ministro della Giustizia e dei Diritti Umani, cui 2 membri della famiglia furono rapiti nel 1973 e mai più ritrovati. Secondo il presidente «Questa operazione è un dovere verso la società nel suo complesso. L’impegno per la verità e la giustizia è inestinguibile e ci accompagnerà per sempre».

Il plan nacional de búsqueda cercherà di stabilire le circostanze e le condizioni in cui ogni persona è stata fatta sparire con la forza, attraverso il raggruppamento e la digitalizzazione di documenti, fascicoli giudiziari e archivi che saranno messi a disposizione anche delle famiglie delle vittime che nei mesi scorsi sono state coinvolte, insieme a diverse associazioni, nella raccolta di tutte le informazioni utili per riavvolgere finalmente il filo della verità.

Tutto il materiale verrà poi studiati e incrociato per stilare una lista il più possibile completa delle persone scomparse e dei luoghi in cui dovrebbero essere sepolte che, se necessario, potranno essere oggetto di nuovi scavi.

Anche se l’istituzione del piano è stato indubbiamente salutata dall’opinione pubblica come un importante passo avanti verso la verità, gli attivisti e le associazioni umanitarie che da decenni si occupano dei desaparecidos frenano l’entusiasmo, sostenendo che ci sia ancora molto da fare. «È un segnale di buone intenzioni da parte del Governo – ha affermato Álvaro González, vicepresidente dell’Agrupación de Familiares de Detenidos Desaparecidos - ma abbiamo ancora dubbi su quanto questa iniziativa possa essere efficace senza la cooperazione delle forze armate, che sostengono di non avere alcuna informazione, mentre noi sappiamo che non è così»

A incidere (e non poco) sulla narrazione di questa pagina nera nella storia cilena e sulla mancata dissoluzione di molti dubbi è infatti il comportamento dell’esercito. I patti del silenzio, come vengono chiamati tra gli autori di violazioni dei diritti umani e i membri delle forze armate, hanno costantemente ostacolato i tentativi di chiedere giustizia. Un muro di omertà difficile da scalfire, basato su un corporatismo massiccio che in Cile è rafforzato anche da una legge di amnistia del 1978, che dispensava autori e complici di tutti i crimini commessi tra l’11 settembre 1973 e il 10 marzo 1978, senza distinguere tra crimini comuni e crimini di matrice politica.

Dal ritorno alla democrazia, le forze armate hanno trasmesso solo informazioni specifiche e consentito un accesso limitato ai documenti. Per questo i passi avanti fatti in questi anni si devono principalmente alle confessioni di singoli esecutori materiali ravveduti o alle parole di alcuni testimoni. Una rete autogestita che negli anni ha consentito ai tribunali cileni di trattare 584 casi di rapimento, 169 omicidi e 85 sepolture illegali sotto la dittatura.

Solo la settimana scorsa la Corte suprema ha ordinato condanne a 25 anni per rapimento aggravato e omicidio nei confronti di 7 ex soldati riconosciuti colpevoli dell’omicidio del cantante e folklorista Víctor Jara nel 1973, brutalmente torturato in un piccolo stadio nel centro di Santiago. Il suo corpo, crivellato da 44 fori di proiettile, fu gettato in un fosso vicino al cimitero principale della città.

Pinochet morì nel 2006 senza essere stato punito per i crimini da lui commessi e anche se nulla potrà riportare in vita le vittime delle sue condotte, il piano appena istituito potrà aiutare a fare un po’ di chiarezza su quanto accaduto, e contribuire a non spegnere i riflettori su una storia che nessuno in Cile (ma nemmeno altrove) ha mai dimenticato.

La conferma di ciò viene anche dal fatto che proprio in questi giorni il Governo degli Stati Uniti ha declassificato e pubblicato parti dei rapporti quotidiani preparati per l’allora presidente Richard Nixon fra l’8 e l’11 settembre 1973, i giorni che precedettero il colpo di stato di Pinochet, che confermerebbero ulteriormente ciò che già da tempo è considerato quasi come acclarato, ovvero che la caduta del presidente socialista Salvador Allende avvenne con un sostanziale beneplacito Usa.

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