Diritti

L’Argentina continua a cercare i figli dei desaparecidos

Durante la dittatura militare di Videla, centinaia di bambini sono stati sottratti ai prigionieri politici e adottati dai loro carnefici. Oggi le abuelas de Plaza de Mayo e il Governo stanno provando a rintracciarli
Credit: viClarin.com.
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23 gennaio 2023 Aggiornato alle 09:00

Nell’aprile del 1977 un gruppo di donne cominciò a riunirsi tutti i giovedì in Plaza de Mayo a Buenos Aires con un fazzoletto bianco in testa, per marciare in cerchio e chiedere dove fossero finiti i loro figli e le loro figlie.

Un anno prima le forze armate avevano preso il potere instaurando una dittatura militare e un regime di terrore che portò alla scomparsa di 30.000 prigionieri.

Durante quel periodo noto come Proceso de Reorganización Nacional guidato dal generale Jorge Rafael Videla gli oppositori politici venivano sistematicamente sequestrati, torturati e infine uccisi o fatti sparire. Il 30% di questi erano donne, costrette a subire abusi sessuali e stupri di gruppo da parte dei loro carcerieri. Quando una prigioniera rimaneva incinta era costretta a portare avanti la gravidanza e a vedersi strappare via il neonato dopo il parto. La stessa sorte poteva toccare a coppie che avevano già dei figli.

Si stima che in quegli anni almeno 500 bambini siano stati sequestrati e adottati dai carnefici dei loro genitori.

Nel 1983 le notizie in merito alle pratiche di adozione illegali sono iniziate a emergere, ma le ricerche su larga scala dei figli dei desaparecidos hanno preso il vis solo nel 2021, quando il governo argentino ha cominciato a inviare centinaia di kit per il test del Dna ai consolati in diversi Paesi del mondo per ritrovarli.

Anche le Abuelas de Plaza de Mayo (nonne di Piazza de Mayo) continuano a cercare i bambini nati in quegli anni: “Potresti essere uno dei nipoti che stiamo cercando- si legge sul loro sito- se sei nato tra il 1975 e il 1980 e hai dubbi sulla tua identità consulta questa pagina”.

Dopo la fine della dittatura alcune famiglie che avevano adottato illegalmente questi bambini si trasferirono all’estero, complicando ulteriormente le ricerche. Non è semplice per i figli dei desaparecidos scoprire che la propria famiglia adottiva è responsabile della tortura e della scomparsa dei genitori biologici e alcuni di loro non riescono ad affrontare il trauma di risalire alle proprie origini.

Qualcuno esita a sottoporsi al test del Dna, altri si sentono in difficoltà ad accusare i genitori adottivi o affermano di essere cresciuti in una famiglia amorevole non riuscendo a immaginarla capace di tali crimini.

Secondo gli esperti intervistati per un’inchiesta condotta da Guardian, La Repubblica e Le Monde sono diverse le motivazioni che hanno portato al rapimento dei bambini.

Alcuni degli ufficiali erano probabilmente mossi da credenze religiose per cui non avrebbero potuto uccidere i figli innocenti delle prigioniere incinte, mentre secondo lo storico Fabricio Laino togliere questi bambini ai loro genitori equivaleva a salvarli da pericolosi sovversivi e dare loro la possibilità di una vita migliore.

Per il giudice e attivista per i diritti umani Baltasar Garzón, invece, si tratterebbe piuttosto di una pratica legata all’umiliazione estrema dei prigionieri: dopo essersi presi la loro vita i militari si sono appropriati anche della loro discendenza.

Finora sono stati rintracciati circa 130 figli di desaparecidos, ma ne mancano ancora centinaia. A dicembre dello scorso anno le abuelas hanno annunciato il ritrovamento di due nipoti mancanti e il presidente argentino Alberto Fernández ha commentato la notizia affermando che l’anno si è chiuso con più verità.

Ma la ricerca diventa sempre più urgente perché i figli stanno crescendo e le abuelas stanno scomparendo. La presidente dell’associazione Estela Carlotto ha 92 anni e lo scorso novembre una delle storiche fondatrici dell’associazioni, Hebe de Bonafini, è morta dopo aver dedicato tutta la sua vita per la ricerca della giustizia.

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