Futuro

Una nuova speranza per battere la dipendenza da cocaina

L’attivazione di alcuni recettori neurali ha ridotto nei roditori la gratificazione ottenuta dall’assunzione di droga. E di conseguenza il bisogno di consumarla. Uno studio del MIT apre inediti scenari
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25 febbraio 2022 Aggiornato alle 21:00

Nonostante le perplessità relative all’impiego degli animali per esperimenti simili, non si può negare che le ricerche nell’ambito della dipendenza da sostanze stupefacenti stiano conducendo a risultati interessanti. Una delle conseguenze più gravi derivanti dal consumo di cocaina, oppioidi e altre droghe d’abuso è la profonda, e spesso irreversibile, alterazione di quello che nelle neuroscienze viene definito il “sistema di ricompensa” del cervello.

Una recente ricerca condotta sui topi da parte degli scienziati del McGovern Institute for Brain Research del MIT e di altri collaboratori provenienti dall’Università di Copenaghen e dalla Vanderbilt University, apre nuovi scenari rispetto alla cura della dipendenza da sostanze stupefacenti e alle strategie terapeutiche da mettere in atto. Già da diversi anni, infatti, i piccoli roditori vengono utilizzati in questa tipologia di esperimenti perché in grado di assuefarsi alla cocaina con effetti non dissimili da quelli degli uomini.

Il team di Ann Graybiel del MIT, assieme agli altri scienziati che hanno dato il loro contributo al progetto, in una pubblicazione online del 25 gennaio sulla rivista Addiction Biology spiega che l’attivazione di due determinate molecole “di segnalazione” nel cervello, molecole note come recettori muscarinici M4 e M1, fa sì che i roditori riducano l’auto-somministrazione di cocaina e preferiscano piuttosto nutrirsi.

Le droghe d’abuso stimolano i circuiti di abitudini neuronali, alzando i livelli di dopamina. Con l’uso cronico, divengono progressivamente meno sensibili alla dopamina, quindi le esperienze che una volta risultavano gratificanti, diventano meno piacevoli e soddisfacenti. Di conseguenza il consumatore è spinto a cercare dosi più elevate. Negli anni, gli esperimenti che tentavano di inibire direttamente il meccanismo della dopamina si sono risolti in un nulla di fatto, motivo per cui gli scienziati hanno iniziato a orientarsi su strategie alternative.

All’Università di Copenaghen, la neuroscienziata Morgane Thomsen è giunta a risultati simili a quelli di Graybel.

Gli effetti benefici del composto in grado di stimolare i recettori M1 e M4 sono aumentati nel corso dei primi 7 giorni di trattamento. Una volta interrotto, i roditori riprendevano rapidamente le vecchie abitudini, ricominciando ad assumere la stessa quantità di cocaina. Inoltre, i due recettori muscarinici non modulano il consumo di cocaina allo stesso modo. L’attivazione di M1 agisce con tempistiche differenti, impiegando del tempo ad agire, ma lasciando effetti più duraturi, che si protraggono anche a seguito dell’interruzione del trattamento. La stimolazione di entrambi potrebbe avere quindi un effetto sinergico, l’uno maggiormente efficace nell’immediato, l’altro nel lungo termine, aiutando il paziente a superare la dipendenza.

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