Futuro

Il grande potere di Musk

L’imprenditore ha in mente un disegno ambizioso, che persegue con ingegno ma in modo capriccioso, a giudicare dalle sue scelte su Twitter. Qualche Stato tenta di limitarne influenza. Ma non basta
Credit: Jae C. Hong / AP
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3 agosto 2023 Aggiornato alle 06:30

Oltre la metà dei satelliti operativi che girano intorno alla Terra appartengono a Elon Musk.

Starlink è la costellazione di 4.500 satelliti che Musk ha realizzato negli ultimi quattro anni e che può connettere all’internet utenti in una sessantina di Paesi del mondo.

Nei prossimi anni intende aumentare il numero di questi satelliti di un ordine di grandezza.

Gli utenti del servizio, secondo The Information, sono oltre 1 milione e potrebbero arrivare a 2 milioni entro il 2023.

Si stima che il fatturato possa arrivare a circa 3,2 miliardi di dollari alla fine del 2023.

La raccolta di dati che Musk può realizzare con questi satelliti è potenzialmente immensa. Nel frattempo, le automobili Tesla in circolazione potrebbero essere tre milioni, a giudicare dalle vendite registrate su Statista.

Ciascuna di esse è dotata di un gemello digitale che si trova nei server di Musk e raccoglie dati quotidiani sugli utenti. A tutto questo si aggiungono i dati dei circa 300 milioni di utenti di Twitter, rinominata recentemente X. Nell’aprile scorso, Musk ha scritto su Twitter che «tra Tesla, Starlink e Twitter potrei essere la persona che ha più dati in tempo reale di chiunque altro mai nella storia».

Un’eccessiva concentrazione di potere fa male alla salute dell’umanità. È una regola che varrebbe anche se chi può esercitare quel potere fosse un campione di saggezza. E a maggior ragione vale se i potenti sono tipi come Mark Zuckerberg o Elon Musk.

Zuck è stato accusato di tutto: indifferenza ai diritti umani, a partire dalla privacy, superficialità e talvolta criminosa indifferenza nel contrasto alla disinformazione e all’odio online, potenziale capacità di influenzare lo stato d’animo e l’accettazione della propaganda degli oltre 3 miliardi di persone che usano le sue piattaforme.

Ma almeno Zuckerberg è sempre stato abbastanza lineare e non ha mai dato segno di particolare immaginazione: voleva accrescere il numero di utenti delle sue piattaforme online, voleva aumentare i profitti derivanti dal business pubblicitario, voleva accumulare un immenso potere. Il tutto facendo leva sulle tecnologie sviluppate per sfruttare il potenziale delle comunicazioni via internet e delle connessioni mobili. Musk è ben più complesso.

Al centro del suo business c’è una obiettivamente straordinaria capacità ingegneristica, una grande attenzione alle frontiere applicative della scienza, un preciso senso strategico nella raccolta e nello sfruttamento di enormi quantità di dati. Nei suoi pensieri c’è lo sviluppo di SpaceX, la crescita di X.ai e la scommessa di Neuralink, l’azienda che vuole mettere i suoi chip nel cervello della gente.

Non sappiamo se Musk sia oggi la persona più potente del mondo, ma probabilmente si avvicinerebbe molto al primato se tutte queste sue ambiziose imprese riuscissero. E se nessuno gli imponesse qualche limite.

I limiti attualmente sono proprio relativi al fatto che a nessuno piace dover sottostare a un potente se ne può fare a meno. Starlink è potentissima, ma non tutti se ne fidano.

L’Ucraina, ovviamente, è costretta a farlo. Senza Starlink avrebbe già perso la guerra, come hanno dichiarato i suoi generali al New York Times.

Il giornale ha condotto un’inchiesta bellissima sull’argomento e ha rilevato che l’Europa non intende affidarsi a Starlink ma vuole una sua costellazione per mantenere una sua indipendenza. Ma la stessa Taiwan non si fida: avrebbe molto bisogno di Starlink in questa fase nella quale la Cina sembra sempre più aggressiva. Ma non si fida dell’infrastruttura di una persona che intrattiene rapporti così intensi proprio con la Cina come Musk. E qui si potrebbe arrivare al dunque.

Perché è proprio negli Stati Uniti che il potere di Musk dovrebbe essere limitato. Se non altro per lo stesso motivo per cui tante altre aziende hanno dovuto accettare di ridurre gli scambi commerciali con la Cina in base agli ordini del governo americano, anche il business di Musk nel paese asiatico dovrebbe essere sottoposto a qualche limitazione.

Il governo americano non ha alcun motivo per fidarsi della fedeltà di Musk. Anche perché il suo comportamento apertamente autocratico è stato dimostrato dalle sue scelte relative a Twitter.

Ha licenziato chi si occupava di etica dell’intelligenza artificiale, ha tagliato la collaborazione con gli scienziati che studiavano i suoi dati per comprendere come gli algoritmi di raccomandazione radicalizzavano il dibattito, ha fatto causa a un’associazione non profit - the Center for Countering Digital Hate - che segnalava la riduzione dell’impegno della piattaforma nel contrasto ai discorsi d’odio: ha promesso libertà di espressione ma ha interpretato questa idea in modo piuttosto capriccioso ed egoriferito.

L’autoritarismo sembra avanzare nel mondo politico internazionale, come si vede dalla riluttanza di molti stati a prendere posizione contro la Russia in relazione al conflitto in Ucraina. Ma anche la tecnologia e il capitalismo sembrano a loro volta favorevoli alle concentrazioni di potere.

La strada per una sana convivenza civile e per favorire l’innovatività necessaria ad affrontare gli enormi problemi che l’umanità deve affrontare in questo secolo non è probabilmente quella delle rivoluzioni che sostituiscono un potere con un altro: il Niger è l’ultimo esempio di questa osservazione.

Molto più importanti invece sono le azioni che servono a limitare il potere di chiunque ne abbia troppo. A questo scopo hanno tutto l’interesse di muoversi le grandi organizzazioni globali come l’Onu e gli accordi o le entità internazionali capaci di una certa elaborazione strategica come l’Ocse, l’Unesco, il G20. E del resto l’obiettivo di valorizzare l’equilibrio dei poteri dovrebbe essere costituzionalmente integrato nell’azione di paesi come gli Stati Uniti e l’Unione europea.

In questo senso, si può dire che se una fase della globalizzazione è finita, se ne apre probabilmente un’altra.

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