Ambiente

Anche le forze armate dovrebbero dichiarare le proprie emissioni?

L’analisi di Reuters pone l’accento sull’impatto climatico militare, mentre scienziati e ambientalisti aumentano le pressioni sull’Onu affinché costringa gli eserciti a rivelare i loro consumi
Credit: Mika Baumeister
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
11 luglio 2023 Aggiornato alle 07:00

Quanto inquina una guerra? E perché l’impatto climatico dei conflitti non viene considerato quando si parla di emissioni? Secondo la stima del 2022 del Conflict and Environment Observatory, organizzazione che lavora per ridurre i danni alle persone e agli ecosistemi causati da conflitti armati e militari, ha rivelato che tra i maggiori consumatori di carburante al mondo ci sono proprio le forze armate, responsabili del 5,5% delle emissioni globali di gas serra.

L’agenzia di stampa internazionale Reuters ha realizzato una panoramica sul tema, ora che i gruppi ambientalisti stanno spingendo sempre di più affinché le emissioni militari vengano misurate in modo più completo e trasparente: tra loro, le 2 organizzazioni Tipping Point North South e The Conflict and Environment Observatory. Secondo gli attivisti, infatti, nei primi 5 mesi del 2023 sono uscite almeno 17 pubblicazioni accademiche a riguardo, il triplo rispetto a tutto il 2022 e più dei 9 anni precedenti messi insieme.

«L’Ucraina ha assolutamente acceso i riflettori su questo problema in un modo in cui gli altri conflitti non hanno fatto», ha detto a Reuters Deborah Burton di Tipping Point North South. I gruppi ambientalisti ritengono che l’aumento delle emissioni legate al conflitto in Ucraina potrebbe essere una “buona” occasione per prendere finalmente in considerazione l’aspetto ambientale della guerra: considerando i primi 12 mesi di conflitto, questi provocheranno un aumento netto di 120 milioni di tonnellate di gas serra, pari alla produzione annuale di Singapore, Svizzera e Siria messe insieme.

Ma le forze armate, spiega Reuters, non sono vincolate dagli accordi internazionali sul clima a dichiarare o ridurre le proprie emissioni e secondo scienziati e accademici i dati pubblicati da alcuni militari sono inaffidabili o incompleti.

Le emissioni militari all’estero, infatti, come i voli dei jet o le navi usate nelle esercitazioni, non sono state considerate dal Protocollo di Kyoto del 1997 sulla riduzione dei gas serra né dagli accordi di Parigi del 2015, perché diffondere i dati sull’uso dell’energia da parte degli eserciti potrebbe minare la sicurezza nazionale. Qualche mese fa, però, i gruppi ambientalisti hanno chiesto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) di includerli.

Questo tema verrà esaminato nel primo bilancio globale al vertice sul clima Cop28 negli Emirati Arabi Uniti, che si terrà a partire dal 30 novembre, in cui si valuterà quanto i Paesi siano in ritardo rispetto agli obiettivi climatici di Parigi. L’Unfccc ha dichiarato che per ora non ci sono piani concreti per modificare le linee guida sulla contabilizzazione delle emissioni militari.

Alcune forze armate, però, spiega Reuters, stanno facendo passi avanti per ridurre il loro impatto ambientale: la Nato, per esempio, ha spiegato di aver creato una metodologia per i suoi 31 membri per la rendicontazione delle emissioni militari. Per la prima volta l’anno scorso una delegazione del Pentagono ha partecipato al vertice mondiale sul clima.

Secondo Neta Crawford, docente di relazioni internazionali a Oxford, ci sono stati alcuni fattori che hanno contribuito alla diminuzione del consumo di petrolio: i dati della US Defense Logistics Agency dicono che nel 2022 sono stati acquistati 84 milioni di barili, quasi 15 milioni in meno rispetto al 2018. Questo calo, per Crawford, potrebbe essere dovuto al ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan e dall’Iraq, alla riduzione delle esercitazioni militari, all’adozione di tecnologie per le energie rinnovabili, di veicoli più efficienti dal punto di vista dei consumi e di droni.

Ma «le emissioni militari globali rimarranno poco trasparenti - ha detto a Reuters Stuart Parkinson, direttore esecutivo del gruppo Scientists for Global Responsibility - Va bene dire alla gente di smettere di volare o di passare a un’auto elettrica, sia che si tratti di una spesa o di un guaio per loro, ma è difficile farlo quando i militari ricevono un passaggio gratuito».

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