Culture

Perché il film di Barbie rischia la censura

Negli Usa i Repubblicani vogliono boicottare il film ancor prima dell’uscita: la rappresentazione della “linea a 9 tratti” in una mappa alimenterebbe la propaganda cinese. In Vietnam, già vietata la proiezione
Credit: Warner Bros/Entertainment Pictures/ZUMAPRESS
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
11 luglio 2023 Aggiornato alle 17:00

“I’m a Barbie girl, in a Communist world…”. Una frase senza senso? Non secondo una parte della destra statunitense, che da alcuni giorni sta attaccando il film di Greta Gerwig dedicato all’iconica bambola Mattel (non ancora uscito nelle sale) accusandolo di spingere la propaganda cinese e di rappresentare un pericolo per la sicurezza nazionale.

A fare del film in uscita il 21 luglio (20 in Italia) un asset della macchina propagandistica di Pechino sarebbe la mappa che si vede poco prima che Barbie (Margot Robbie) e Ken (Ryan Gosling) lascino BarbieLand per esplorare il mondo reale: la mappa visibile sullo sfondo, infatti, include la cosiddetta “linea a nove trattini”, una divisione di territorio molto controversa nel Mar Cinese Meridionale.

Questi territori, infatti, sono contesi tra la Cina, che li reclama come suoi, e il Vietnam, che proprio a causa della mappa a vietato il film nelle sue sale cinematografiche. Anche le Filippine stanno riflettendo su un’eventuale censura: le aree marittime, infatti, sono rivendicate da Taiwan, Filippine, Brunei, Malesia e Vietnam.

“Immagino che Barbie sia prodotta in Cina …” ha twittato il senatore Ted Cruz. Il giorno successivo, un suo portavoce ha dichiarato al Daily Mail: «La Cina vuole controllare ciò che gli americani vedono, sentono e alla fine pensano, e sfruttano i loro enormi mercati cinematografici per costringere le aziende americane a spingere la propaganda [del Partito Comunista Cinese] - proprio come il film Barbie sembra aver fatto con la mappa», ricordando che il senatore del Texas «si batte da anni per impedire alle aziende americane, in particolare agli studi di Hollywood, di alterare e censurare i loro contenuti per acquietare il Partito Comunista Cinese».

Cruz è stato forse il primo a prendere la parola sul Barbiegate, ma decisamente non è stato l’unico: a lui, infatti, si sono presto uniti moltissimi Repubblicani che (ironicamente) vorrebbero “cancellare” la pellicola ancor prima che arrivi nelle sale perché pericolosamente eversiva.

Commentando la reazione di Cruz, la conduttrice di Fox News Rachel Campos-Duffy ha riflettuto in onda: «Barbie è comunista?». «Forse!» ha risposto il suo collega. Decisamente sì, sembrano aver risposto diversi parlamentari conservatori.

«Anche se potrebbe essere solo una mappa di Barbie in un mondo di Barbie, il fatto che una mappa da cartone animato scarabocchiata con i pastelli sembri fare di tutto per rappresentare le rivendicazioni territoriali illegali [della Cina] illustra la pressione a cui è sottoposta Hollywood per compiacere i censori del PCC», ha dichiarato Mike Gallagher, che presiede il comitato ristretto della Camera sulla Cina.

«Abbiamo sconfitto l’Unione Sovietica con Coca-Cola, Levi’s e James Dean. Abbiamo bisogno della superiorità del soft power tanto quanto abbiamo bisogno della superiorità militare per vincere la nuova Guerra Fredda con la Cina, e questo è impossibile con Hollywood che lavora a fianco del Partito Comunista Cinese», gli ha fatto eco il parlamentare Jim Banks, un altro membro del comitato ristretto, che ha accusato i produttori del film di «mettere in pericolo la nostra sicurezza nazionale».

Il deputato Mike Waltz parlando con Fox News Digital ha accusato Hollywood di «ipocrisia» e ha criticato Barbie come «l’ennesimo vergognoso esempio di Hollywood nelle tasche della Cina comunista». La senatrice Marsha Blackburn ha accusato il film di “piegarsi a Pechino per guadagnare velocemente”.

Alcuni esponenti conservatori, però, non si sono limitati ad accusare il film o i produttori, passando direttamente alle minacce (non troppo velate). È il caso di Mark Green, il rappresentante della Camera che in marzo ha reintrodotto lo SCREEN Act, che impedirebbe al Governo degli Stati Uniti di aiutare gli studi americani a produrre film se la pellicola è coprodotta da una società cinese.

Green, infatti, ha avvertito Hollywood che continuare a diffondere la propaganda cinese potrebbe costare all’industria il sostegno federale. «In nessun mondo i film americani dovrebbero diffondere la propaganda del PCC - ha detto - Incoraggio tutti gli studi cinematografici a restare integri o perdere il sostegno di entità federali come il DOD».

Barbie, infatti, non è l’unico film a essere accusato di piegarsi ai desiderata di Pechino: un anno fa, a esempio, era toccato anche a Top Gun: Maverick. Nel 2019, il trailer mostrava il personaggio di Cruise, il pilota della Marina degli Stati Uniti Pete Mitchell, con lo stesso bomber che indossava nel film originale. Ma 2 delle sue bandiere (che rappresentano il Giappone e la Repubblica di Cina, il nome ufficiale di Taiwan) sembravano essere state sostituite da altri emblemi.

La mossa è stata criticata all’epoca come un atto di autocensura per compiacere i censori cinesi. All’uscita del film, dopo 2 anni di ritardo dovuto alla pandemia, entrambe le bandiere erano state ripristinate.

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