Ambiente

Chiara Di Mambro (Ecco): «Il Pniec va rivisto: serve più governance»

L’esperta del think thank spiega a La Svolta come migliorare il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima. Partendo da condivisione, decarbonizzazione del sistema elettrico e sistema delle rinnovabili
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10 luglio 2023 Aggiornato alle 08:00

La vita quotidiana degli italiani, la trasformazione energetica del Paese e la lotta al surriscaldamento globale hanno tutte in comune lo stesso piano, il Pniec, leggasi Piano Nazionale Integrato Energia e Clima che però attualmente suona più come “Per ora Nessun Impegno concreto sulle Emissioni Climalteranti”.

Gioco di parole a parte, questo piano è quello che dovrebbe tracciare gli obiettivi nazionali al 2030 sull’efficienza energetica, le rinnovabili e la riduzione delle emissioni di CO2 e la sicurezza energetica, così come definire la mobilità sostenibile, il tutto delineando un “modus operandi” e un percorso preciso su come potremmo centrare gli obiettivi.

La data definitiva per il Pniec è fissata a giugno 2024 ma, un anno prima, ovvero entro il 30 giugno appena trascorso, i Paesi europei dovevano inviarne i passaggi principali all’Europa.

Il ministro dell’Ambiente e sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin si è affrettato per consegnare il tutto all’Ue, almeno a parole: a oggi sul sito della Commissione non è stato pubblicato nulla riguardo all’Italia, come invece è avvenuto per altri Paesi.

Una bozza più corposa del piano è attesa probabilmente tra metà e fine luglio e per ora è uscito solo una sorta di sommario del Mase in cui si legge il desiderio di puntare a “una quota del 40% di rinnovabili nei consumi finali lordi di energia che sale al 65% per i consumi solo elettrici. Il 37% di energia da rinnovabili per riscaldamento e raffrescamento, il 31% nei trasporti, 42% di idrogeno da rinnovabili per gli usi dell’industria” e altre indicazioni su come affrontare la transizione, sempre però con il gas al centro delle politiche italiane, come vuole l’esecutivo Meloni.

Per capire meglio cosa c’è e cosa manca nel Pniec rispetto a quanto uscito finora abbiamo parlato con Chiara Di Mambro, responsabile delle politiche di decarbonizzazione del think tank Ecco, istituto dedicato alla transizione energetica e ai cambiamenti climatici.

Partiamo dall’inizio. Il Pniec è arrivato o no a Bruxelles?

Sul sito della Commissione Ue non c’è: gli altri Paesi che l’hanno inviato sono presenti, l’Italia no. Ci attendiamo comunque di sapere qualcosa di più in poche settimane.

Come giudica le prime bozze uscite?

Se vogliamo guardare la parte positiva, questa sta nel fatto che come intenti ci si vuole allontanare dall’approccio del Pniec 2019, che fu troppo ottimistico. Il nuovo piano punta a essere più realista: quattro anni fa davano per raggiungibili certi obiettivi senza fare però un legame concreto con le politiche, questo nuovo testo invece prova un approccio un pochino più costruttivo per arrivare a ridurre le emissioni e ci sembra ci sia un tentativo un po’ più concreto, ma ci sono ancora troppe cose che non vanno bene.

Cosa non convince del Pniec 2023-2024?

Al momento è molto vago su aspetti come la penetrazione delle rinnovabili: è cresciuta, fissata al 65%, ma non è in linea e non è sufficiente rispetto all’obiettivo che i Paesi G7 hanno sottoscritto, ovvero un sistema elettrico quasi completamente legato alle energie pulite. Poi il ruolo del gas: viene indicato come centrale ma non emergono elementi di come questo combustibile sia usato solo per il passaggio di transizione per poi virare verso una reale decarbonizzazione. Si dice che è centrale per la domanda: ma allora perché non si citano anche altri sistemi che siano in grado di reggere e fronteggiare i picchi di richiesta energetica? In Italia abbiamo una rete elettrica molto avanzata, così come i contatori che oggi da noi permettono di monitorare benissimo i consumi. I nostri gestori di rete, per gestire i picchi di domanda, potrebbero per esempio pensare al demand-response, sistema che permette per esempio di gestire il momento esatto di attivazione di pompe di calore in modo da evitare l’accensione di impianti fossili di soccorso. Di queste cose, nel piano, per ora si parla solo in modo generico. Così come non si capisce il legame con il RepowerEu e nemmeno è chiara la strategia sull’idrogeno.

Sul gas, per esempio, si parla di come andrà sostituito nel tempo?

No, o perlomeno non è chiaro. La visione più generale di quella che dovrebbe essere la transizione energetica manca. Viene più spesso ribadita la centralità del gas, ma senza parlare di come lo si intende abbandonare negli anni e alla fine gli elementi forniti finora sembrano essere un po’ in contraddizione. In generale manca una visione di insieme. Al momento è positivo il fatto che il governo riconosca che non ce la facciamo, come siamo ora, a ridurre le emissioni, ma questo dovrebbe essere accompagnato da politiche molto incisive per riuscire a risollevarci e farcela. Politiche che attualmente non si intravedono.

I giorni di inizio luglio sono, come temperature medie, tra i più caldi della storia. Contro El Niño poco possiamo fare, ma ridurre le emissioni possiamo agire grazie alla politica. Il Pniec è lo strumento giusto per riuscirci?

Il Pniec è un piano che conterebbe tantissimo se avesse la forza che dovrebbe avere. Ma purtroppo è molto basato su “dichiarazione di intenti” anziché sul fatto di essere qualcosa di vincolante. Dovrebbe essere molto più attuativo. Il piano passato, per esempio, era troppo semplificativo. Inoltre molte politiche che erano lì dentro non sono mai state attuate: in quattro anni l’Osservatorio Pniec non è nemmeno mai stato istituito…Eppure, basterebbe poco, una delibera del Cipess o qualcosa che permetta che sia un po’ più vincolante e attuativo.

Chi dovrebbe coinvolgere per una corretta transizione?

Tutti, dalle amministrazioni sino alle aziende. Ci sono vari attori chiamati ad attuare il piano. Se in Italia siamo in ritardo con le rinnovabili non è solo perché abbiamo un quadro normativo terribile ma anche perché probabilmente è stato pensato in una stanza chiusa, senza parlare con chi doveva attuarlo. Vanno coinvolte di più le amministrazioni locali e ci vuole una governance più lineare. Questo Pniec ha obiettivi macroscopici ma le politiche sono molto micro: servirà per capire come scalderemo le nostre case oppure come andremo a lavorare, se con la bici o con che mobilità futura. Ecco perché vanno coinvolti tutti.

Resta fiduciosa sul fatto che verrà migliorato?

Da qui a un anno molto può ancora cambiare, l’auspicio è che migliori. Non c’è dubbio che gli obiettivi siano sfidanti: una volta definito però l’importante è che diventi un riferimento per l’attuazione delle politiche energetiche in Italia.

Infine, secondo lei quali sono i tre punti imprescindibili per la riuscita del piano energetico nazionale?

Primo, la governance. Deve esserci e deve rendere l’importanza di questo strumento, così come deve comprendere tanti soggetti. Secondo punto, senza una efficace decarbonizzazione del sistema elettrico e un funzionante sistema delle rinnovabili, non si va avanti in nessun settore. Infine, puntare a un respiro più ampio: credere in questo piano e valutarne le ricadute positive che potrebbe avere sul tessuto produttivo nazionale.

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