Ambiente

Il progetto che “disseta” le zone aride del Mediterraneo

Si chiama Menawara il programma siglato dai ricercatori di 5 Paesi (tra cui l’Italia) per il riuso delle acque reflue in agricoltura. I risultati? Ottimi
Credit: Enicbcmed.eu
Tempo di lettura 4 min lettura
7 luglio 2023 Aggiornato alle 10:00

Combattere la siccità che affligge e affliggerà sempre più il Mediterraneo riutilizzando le acque reflue per l’agricoltura. È l’idea alla base del progetto Menawara Non-conventional water re-use in agriculture in Mediterranean countries che ha coinvolto i ricercatori di cinque Paesi: Italia, Spagna, Palestina, Giordania e Tunisia.

I risultati del progetto quadriennale iniziato nel 2019 e coordinato dal Nucleo di ricerca sulla desertificazione dell’Università di Sassari sono stati presentati il 4 e 5 luglio nella sede del Dipartimento di Agraria dell’ateneo sardo.

L’obiettivo degli interventi - si legge nella presentazione - era fornire ai territori colpiti dalla scarsità idrica delle risorse aggiuntive riciclando il drenaggio e le acque reflue, sfruttando le perdite, razionalizzando le pratiche di utilizzo e impostando modelli di governance operativa in linea con i piani nazionali e internazionali.

Con un budget totale di 2,9 milioni di euro, di cui 2,6 finanziati dalla Ue, il programma Menawara puntava a aumentare gli ettari di terreno disponibili per l’uso agricolo e diminuire la salinità delle acque sotterranee così come l’uso di fertilizzanti. A ridurre lo stress sulle fonti di acqua dolce e a migliorare la qualità delle acque reflue trattate in agricoltura. A creare più occupazione grazie all’incremento della superficie di terreni fertili che utilizzano soluzioni innovative di approvvigionamento idrico.

In totale, 4.200 persone potranno beneficiare di una migliore qualità dell’acqua.

Durante l’incontro di Sassari sono stati presentati gli interventi realizzati nei 5 Paesi che hanno aderito al progetto. In Sardegna, ad Arborea, è stato creato un innovativo impianto forestale di infiltrazione per contribuire a ridurre e mitigare l’inquinamento da nitrati nella falda acquifera. In Tunisia è stata finanziato un impianto di trattamento terziario dell’acqua per irrigare colture come l’ulivo.

In un villaggio del nord della Palestina e in Giordania sono stati riabilitati e realizzati impianti di depurazione di acque reflue. In Andalusia l’utilizzo di acque trattate per l’irrigazione degli uliveti ha consentito produzioni eccezionali in una delle regioni più colpite dalla siccità del Mediterraneo.

Secondo l’ultimo report Drought in the western Mediterranean – May 2023 pubblicato dal Joint research center della Commissione europea, “una grave siccità sta colpendo il Mediterraneo occidentale, dovuta a una persistente mancanza di precipitazioni e temperature anomale per più di un anno, seguite da aridità eccezionale in primavera e in inverno. Sia nell’Africa settentrionale che nella Penisola Iberica sono stati segnalati gravi impatti sulle colture, con semine ridotte e ritardate e previsioni di rese ben al di sotto della media”.

Le previsioni stagionali indicano condizioni di inizio estate più calde della media - avvisa sempre il report. “Sono necessari un attento monitoraggio e adeguati piani di utilizzo dell’acqua, poiché l’estate 2023 ha attualmente un alto rischio di essere un periodo critico per le risorse idriche”.

In linea con i principi di economia circolare, l’utilizzo delle acque reflue per l’agricoltura sta quindi diventando un sistema per aiutare l’ambiente e salvaguardare le zone più a rischio idrico.

In Italia, secondo Ispra, circa il 60% dellacqua è utilizzato in agricoltura, il 25% è utilizzato dal settore energetico e industriale mentre il 15% è destinato agli usi domestici (lavarsi, cucinare, ecc.).

Nel 2022 la Commissione europea ha pubblicato una serie di linee guida proprio per aiutare le autorità nazionali e le imprese competenti ad applicare le norme sul riutilizzo sicuro.

Leggi anche
Cambiamento climatico
di Emanuele Bompan 4 min lettura
Adelaide Desalination Plant (epa.sa.gov.au)
Acqua
di Caterina Tarquini 5 min lettura