Ambiente

Migrazione climatica: un problema sempre più vicino

Secondo un’analisi Groundswell, entro il 2050 gli sfollati climatici dal Nord Africa potrebbero essere 13 milioni. 140 milioni invece le persone in fuga da Africa Subsahariana, Sud Asia e America Latina
Credit: James Beheshti
Tempo di lettura 5 min lettura
7 luglio 2023 Aggiornato alle 07:00

Lo scorso 3 luglio è stato il giorno più caldo di sempre con una media mondiale di 17° C. Una notizia che, forse, non ci stupisce più di tanto perché siamo ormai abituato a sentir parlare di crisi climatica, disastri ambientali e surriscaldamento globale.

Eppure i dati ci mostrano una realtà che necessità urgentemente la nostra attenzione. Le temperature sono in aumento e potrebbero registrare entro la fine del decennio un +2,7° C, il livello dei mari continua a innalzarsi e l’aria che respiriamo è sempre più inquinata facendo crescere il numero dei decessi. Una serie di circostanze che costringono un numero crescente di persone a abbandonare la propria terra natale.

Si chiamano migranti climatici (o ambientali), un termine a oggi frequentemente dibattuto e che non trova una definizione univoca, ma che permette di identificare il cambiamento climatico come una delle causa del fenomeno dell’emigrazione.

Il caldo è fastidioso, faticoso, ma lo puoi affrontare se hai una casa, un condizionatore, un frigo che ti assicura un bicchiere d’acqua rinfrescante e un’automobile che ti permette di raggiungere facilmente il luogo di lavoro. Meno se per bere un sorso d’acqua devi camminare per chilometri sotto il sole cocente.

A questo si aggiungono le politiche più o meno incisive che i governi dei Paesi ricchi mettono in atto a tutela della popolazione contro i disastri ambientali. Cosa che non avviene nell’Africa Occidentale, Orientale e Centrale, nell’Asia Meridionale e nell’America Centrale e Meridionale dove tra il 2010 e il 2020 il numero di morti a causa di eventi soprannaturali è stato 15 volte superiore rispetto alle altre aree del globo.

Un’analisi di Groundswell calcola che entro il 2050 in Nord Africa la percentuale di sfollati a causa di disastri ambientali potrebbe rappresentare il 2-6% della popolazione ovvero un numero di persone compreso tra i 4 e i 13 milioni.

È proprio questa la base su cui poggia il flusso di migrazione crescente che, sempre secondo le stime di Groundswell, porterà oltre 140 milioni di persone provenienti da Africa Subsahariana, Sud Asia e America Latina a mettersi in viaggio entro il 2050.

Un viaggio che generalmente spinge i migranti a raggiungere in primis i Paesi più vicini perché raggiungere quelli più sviluppati economicamente ha un costo che non tutti possono affrontare. Secondo uno studio del 2021 di Unhcr, l’Agenzia Onu per i Rifugiati, su 89 milioni e 300.000 persone in fuga dal proprio paese l’83% si è rifugiata in ppaesi a basso o medio reddito e di questi oltre il 70% ha varcato un solo confine.

Ciononostante entro il 2050 l’Europa potrebbe registrare l’arrivo di circa 6-8 milioni di migranti climatici.

Oggi nel mondo secondo i calcoli di World Bank il 2,6% della popolazione globale si è rifugiata in un altro Paese: circa 184 milioni di persone. Gli sfollati sono circa 100 milioni e a causa della crisi climatica potrebbero più che raddoppiare arrivando a segnare un +216 milioni.

Numeri che ci fanno riflettere sulla complessità del fenomeno migratorio che, spesso, si verifica all’interno di uno stesso continente se non, addirittura, di una stessa regione e che attiva una pluralità di dinamiche che necessitano di essere analizzate garantendo la tutela e il rispetto dell’individuo.

Secondo lo studioso Marshall Burke, docente e ricercatore della Stanford University, un’altra inevitabile conseguenza della crisi climatica sarà l’aumento dei conflitti che potrebbero crescere fino all’11%.

Burke non identifica il clima in sé come causa primaria dei conflitti, ma i dati sottolineano una forte incidenza del primo su questi ultimi, dato che temperature e piogge impattano direttamente sull’economia e, conseguentemente, sul Pil.

Questo è particolarmente vero per le economie meno sviluppate dove parte fondamentale della ricchezza deriva dal settore agricolo. Il risultato di lunghi periodi di siccità è lo spostamento di interi villaggi dalle campagne verso le città che, con i propri greggi al seguito, cercano un nuovo modo di coltivare. Ma anche tantissimi agricoltori che decidono di abbandonare la propria terra e la propria vita alla ricerca di una nuova attività lavorativa nelle zone urbane.

Difatti, secondo lo studio African Shifts, che ripercorre tramite foto e testimonianze il volto della crisi climatica in Africa, entro il 2050 circa il 60% della popolazione potrebbe vivere nelle città svuotando, quindi, le aree rurali.

E allora fondamentale diventa la capacità di trovare un punto di equilibrio tra ricerca scientifica e tutela delle persone. Biden prende in considerazione il progetto per oscurare il sole che dovrebbe permettere il raffreddamento della temperatura terrestre in pochi anni, ma il fenomeno della migrazione ambientale è già in atto e necessita di azioni concrete e immediate. Tutelare l’ambiente e assistere le persone in questa nuova crisi destinata a cambiare il volto delle nostre vite non è mai stato così importante.

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