Economia

Salario minimo, arriva la proposta di legge

Trovato l’accordo tra le principali forze del centrosinistra, si prepara ad affacciarsi nel dibattito parlamentare il tema del salario minimo, più volte affrontato e discusso ma mai concretizzato in una vera misura legislativa
Credit: Darlene Alderson
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6 luglio 2023 Aggiornato alle 16:00

Proprio in questi giorni sembra che i partiti di opposizione Pd, M5S, Azione, Sinistra Italiana, Europa Verde e +Europa abbiano unito le loro forze per trovare un accordo congiunto su una proposta di legge relativa al salario minimo. Tema storicamente divisivo e portato avanti dai colori politici più progressisti, e guardato con una certa diffidenza dall’ala destra del Parlamento.

All’appello manca solo Italia Viva che – come spiegato dal deputato Iv ed economista Luigi Marattin in un tweet – pur essendo favorevole all’introduzione del salario minimo non è d’accordo con alcune note tecniche dell’accordo firmato dagli altri partiti.

Quando si parla di salario minimo legale si intende una soglia minima di retribuzione, decisa su base oraria o mensile, garantita dalla legge ai lavoratori e alle lavoratrici. Si tratta di una somma non modificabile in peggio né dagli accordi collettivi né contratti privati, che quindi dovranno impostare il livello retributivo partendo necessariamente dalla soglia indicata dalla norma.

La proposta di salario minimo deve ancora essere presentata in Parlamento, ma per adesso sappiamo che la soglia concordata dovrebbe essere fissata a 9 euro lordi (quindi comprensivi delle imposte) all’ora, da applicare ai lavoratori dipendenti, subordinati e autonomi. Una commissione ad hoc poi dovrebbe ciclicamente valutare l’opportunità di ritoccare il minimo orario in base all’inflazione e ad altri indicatori.

Ad ogni modo, essendo un livello al di sotto del quale non si può andare, una ipotetica introduzione del salario minimo non dovrebbe intaccare eventuali soglie di retribuzione più alte presenti nei contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl).

Si tratta di contratti standard che stabiliscono orari e retribuzioni, estesi in tutta Italia per l’89% dei dipendenti di imprese private (con almeno un dipendente), negoziati e firmati tra i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro. Un sistema di questo tipo presenta tuttavia numerose falle, che spesso si riversano inevitabilmente sul trattamento salariale dei lavoratori che firmano accordi di questo tipo.

Le aziende, infatti, non sono obbligate ad aderire a un contratto collettivo predisposto dai sindacati maggiormente rappresentativi, potendo infatti stabilire il valore della retribuzione per i loro dipendenti in base ai parametri delle tabelle salariali contenuti nel contratto di settore di appartenenza.

Una grande quantità di questi contratti collettivi infatti è sostituita in maniera segreta e nascosta dai così detti ‘contratti pirata’, dei veri e propri accordi che molte aziend – attraverso piccoli sindacati poco rappresentativi – stipulano con i propri dipendenti per stabilire salari bassi e condizioni molto più svantaggiose rispetto a quelli firmati dai sindacati più grandi come Cgil, Cisl e Uil.

Si tratta di veri e propri contratti al ribasso, complici di una diminuzione generalizzata del trattamento salariale di moltissimi lavoratori. Come spiegato dal Giuslavorista Marco Barbieri presso la Commissione Lavoro della Camera «4.578.535 di lavoratori e lavoratrici guadagnano molto meno di 9 euro lordi all’ora».

Fra di loro più del 90% è composto da lavoratori domestici, il 35,1% lavora nel settore agricolo, e il 26,2% sono dipendenti di imprese private, di cui il 38% persone under 35 e il 26% donne.

Lo scenario di sotto retribuzione si allarga se contiamo il lavoro sommerso, che colpisce lo sviluppo economico del Paese sia a livello fiscale che sociale, con migliaia di lavoratori part-time sfruttati per ore con pochi euro l’ora sudati fra una consegna e l’altra.

Il salario minimo rappresenta un argomento pruriginoso quanto essenziale per la tutela dei lavoratori più svantaggiati e sottopagati. Eppure, la stragrande maggioranza di Stati europei adotta da anni forme di retribuzione minima fissata dalla legge. Nell’Unione europea infatti 21 Paesi su 27 hanno un salario minimo garantito, al contrario di Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Svezia e Italia che basano il livello salariale principalmente sui Ccnl. «Nel Regno Unito il salario minimo è in vigore da 20 anni e ha portato a ridurre le disuguaglianze salariali senza ridurre l’occupazione», ha spiegato l’economista Tito Boeri nel corso della sua audizione in Commissione Lavoro.

Inflazione e crisi hanno eroso molto velocemente il potere di acquisto dei lavoratori, costretti a fare i conti con prezzi sempre più alti e stipendi bloccati al medesimo importo. Ma a stringere la cinghia sono state anche le aziende, che hanno pur di rimanere sul mercato hanno dovuto fronteggiare margini di ricavi sempre più bassi. Motivo per cui la proposta dell’opposizione prevede anche un fondo pubblico per erogare somme che aiutino le imprese a sostenere i costi aggiuntivi per adeguare gli stipendi al salario minimo.

Una misura che potrebbe scatenare polemiche fra i detrattori della riforma, dato che sarebbero i contribuenti stessi a farsi carico delle compensazioni per le aziende in difficoltà ad attuare il salario minimo.

Non resta che aspettare la versione definitiva della proposta, con la speranza possa rappresentare la svolta definitiva per mondo del lavoro precario.

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