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Cecenia, Elena Milashina: chi è la giornalista aggredita?

La reporter investigativa di Novaya Gazeta, nota per aver denunciato le aggressioni nei confronti della comunità Lgbtq+ nel 2019, è stata rasata a zero, ricoperta di un composto verde e le sono state rotte le dita delle mani
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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5 luglio 2023 Aggiornato alle 14:00

Il 4 luglio, in Cecenia, un gruppo di uomini con il volto coperto, non identificati, hanno bloccato l’auto in cui Elena Milashina e Aleksandr Nemov si stavano recando in tribunale per la sentenza di Zarema Musayeva, ex moglie dell’ex giudice della Corte Suprema Saidi Yangulbaev e madre degli attivisti ceceni per i diritti umani Abubakr e Ibragim Yangulbaev, posta sotto custodia nel gennaio 2022 con l’accusa di violenza contro le forze di polizia.

I due sono stati trascinati fuori e picchiati brutalmente con tubi di polipropilene sulle dita, sulla testa e sul resto del corpo. Documenti e attrezzature sono stati distrutti: agli aggressori non interessava il denaro, volevano ottenere le password di telefoni e computer. Mentre Nemov, avvocato di Musayeva, è stato accoltellato a una gamba, Milashina ha subito lesioni cerebrali, le sue dita sono state rotte e i suoi capelli rasati, e ha ripetutamente perso conoscenza. Gli aggressori l’hanno anche cosparsa di una tintura verde chiamata zelyonka, in quello che il New York Times definisce “un apparente tentativo di impedirle di apparire in pubblico”.

«È stato un classico rapimento… Hanno immobilizzato (il nostro autista), lo hanno buttato fuori dall’auto, sono saliti, ci hanno piegato la testa, mi hanno legato le mani, mi hanno inginocchiato e mi hanno puntato una pistola alla testa», ha raccontato Milashina a Mansur Soltayev, un funzionario ceceno per i diritti umani, mentre si trovava in un ospedale di Grozny.

Novaya Gazeta riporta che i due sono stati ritrovati dagli automobilisti per la strada ed è stata chiamata un’ambulanza. Dopo l’intervento del Commissario per i diritti umani Tatyana Moskalkova, Milashina e Nemov sono stati portati in ambulanza in una regione vicina per sicurezza e cure mediche. Presto potrebbero essere portati a Mosca. Intanto, il Cremlino ha richiesto un’indagine e l’Ufficio del Procuratore Generale e il Comitato Investigativo hanno richiesto l’identificazione e la punizione degli autori. In Cecenia è in corso una ricerca degli aggressori.

Nel frattempo, il tribunale ceceno in cui i due si stavano recando ha condannato Zarema Musayeva, accusata di aggressione alle autorità e frode, a 5 anni e mezzo di reclusione in una colonia penale. Il suo caso è stato seguito molto da vicino da Milashina, tanto che l’anno scorso Ramzan Kadyrov, il leader autocratico della Cecenia, l’ha definita “complice dei terroristi” sui suoi social media. I critici considerano la sentenza di Musayeva una vendetta contro i figli e il marito, considerati dei traditori da Kadyrov e fuggiti dal Paese.

Chi è Elena Milashina?

Front Line Defenders, organizzazione non governativa fondata nel 2001 allo scopo di tutelare i diritti umani nel mondo, definisce Milashina “una difensora dei diritti umani e una giornalista investigativa che lavora per Novaya Gazeta, un quotidiano russo indipendente”. La reporter, classe 1977 e originaria della città di Dalnegorsk, nell’estremo est della Russia, “attraverso le sue ricerche e i suoi reportage ha attirato l’attenzione internazionale sulla repressione della società civile da parte del Governo russo e sulle gravi violazioni dei diritti umani che continuano nel Caucaso settentrionale”.

La giornalista è una delle principali reporter del Paese riguardo gli avvenimenti della Cecenia. Ha indagato sulla campagna di torture e omicidi avvenuti nella regione russa nel 2019 contro membri della comunità Lgbtq+. A gennaio di quell’anno, Novaya Gazeta denunciò un nuovo giro di vite contro la comunità arcobaleno cecena da parte delle autorità russe: due persone vennero uccise, centinaia furono arrestate dalla polizia e sottoposte a scosse elettriche in prigioni segrete.

Milashina, che ha ricevuto molte minacce in passato ed è stata aggredita in Cecenia nel 2020, è stata evacuata dalla Russia l’anno scorso. Nel corso della sua carriera ha collaborato con diverse Ong internazionali e nazionali per i diritti umani, documentando “casi di sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie, esecuzioni extragiudiziali, torture e persecuzioni di parenti di presunti insorti in Cecenia e in altre repubbliche del Caucaso settentrionale”. Il suo lavoro prosegue quanto avviato dalle sue colleghe Anna Politkovskaya e Natalia Estemirova, assassinate in Russia rispettivamente il 7 ottobre 2006 e il 15 luglio 2009.

Secondo il New York Times, da quando Novaya Gazeta è stata fondata, nel 1993, sono stati uccisi 6 giornalisti: oltre a Politkovskaya e Estemirova, il giornalista investigativo Yuri Shchekochikhin, avvelenato; Igor Domnikov, bastonato a morte; la freelance di 26 anni Anastasia Baburova, uccisa da un killer insieme all’avvocato per i diritti umani Stanislav Markelov. Quando il direttore del quotidiano Dmitri A. Muratov ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 2021, erano passati 15 anni (e qualche giorno) dalla morte di Anna Politkovskaya. Il giornale ha sospeso le pubblicazioni in Russia dopo che il Paese ha invaso l’Ucraina, il 24 febbraio 2022, a causa delle leggi sulla censura di guerra. Ma alcuni giornalisti hanno continuato a lavorare in esilio.

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