Culture

“Una madre”: il ricordo e l’eredità di Anna Politkovskaja

Nel suo libro, la figlia Vera racconta la vita, la carriera, gli ideali della giornalista uccisa nel 2006. «Viveva il suo lavoro come una missione civile. Aveva come obiettivo la verità»
Credit: ANSA/ALESSANDRO DI MARCO
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22 febbraio 2023 Aggiornato alle 20:00

Nel libro Una Madre (Rizzoli, 204 pagine, 19 euro), scritto in collaborazione con Sara Giudice e presentato in questi giorni in Italia, Vera Politkovskaja ricorda la madre e giornalista russa anti-regime Anna Politkovskaja, a 16 anni dal suo omicidio. Ieri, alle OGR di Torino, l’autrice è intervenuta con pacatezza e rigore, lo stesso che ha utilizzato per rispondere alla domande che le sono state rivolte riguardo la guerra che l’ha costretta a fuggire dalla Russia.

Vera Politkovskaja ha parlato da giornalista e da figlia, con la tagliente lucidità che ha contraddistinto il lavoro della madre fino al 7 ottobre 2006. Quel giorno Anna Politkovskaja, reporter per Novaja Gazeta, stava per pubblicare un articolo riguardo le torture commesse dalle forze di sicurezza cecene legate al Primo Ministro Ramzan Kadyrov, su cui indagava da tempo. Il suo corpo, colpito a morte da un’arma da fuoco, venne ritrovato nell’androne del palazzo in cui abitava: i materiali della sua inchiesta furono messi sotto sequestro dalla polizia e il mandante del suo assassinio resta ancora oggi ignoto.

«In quel periodo vivevo a casa di mia madre, avevo 26 anni ed ero incinta. Al mattino abbiamo fatto colazione insieme e prima di salutarci per andare ognuna a fare le proprie commissioni mi ha dato un pacchetto di circa 2.000 euro, dicendomi di usarli per la mia bambina: è stato un episodio inconsueto. Nel corso della giornata ci siamo chiamate più volte e poi non ha più risposto», ha ricordato Vera Politkovskaja.

Autrice di reportage che raccontano la violenza della guerra in Cecenia e il controllo dei cittadini da parte del Governo russo, nei mesi precedenti all’omicidio non erano mancate per Anna Politkovskaja le minacce e, secondo la figlia, si stava preparando al peggio: «Dopo l’uccisione di un collega di Novaja Gazeta aveva ironizzato dicendo che sarebbe stata la prossima».

Nonostante l’impegno civile riconosciuto a livello internazionale per il suo lavoro di denuncia contro la propaganda e le ingiustizie di Stato, Anna Politkovskaja è stata lasciata spesso sola. «Molti colleghi la chiamavano “la pazza di Mosca, perché non capivano o faticavano a capire per quale motivo lei non potesse rimanere seduta a lavorare in redazione e invece andasse in Paesi distrutti dalla guerra rischiando tutto», ha spiegato la figlia.

Lontana dal voler tratteggiare sua madre come un’eroina, Vera Politkovskaja l’ha descritta per il suo carattere forte, scomodo anche per la sua stessa redazione, dove era pronta a discutere per ciò che riteneva giusto. «Non era una persona facile, non amava parlare molto e non scendeva a compromessi, in famiglia come nel suo lavoro», ha spiegato, ricordando le notti insonni della madre scandite dal battere incessante sulla macchina da scrivere, dove riportava ciò che vedeva.

Secondo sua figlia, il modo di fare giornalismo che aveva Anna Politkovskaja è morto con lei: «Dopo il suo omicidio, non ho più trovato nessun altro che si approcciasse al giornalismo come lo faceva lei. Viveva il lavoro giornalistico come una missione civile e aveva come unico obiettivo la verità».

Dopo essere diventata parte delle indagini sulla morte della giornalista, la famiglia Politkovskaja ha continuato a vivere a Mosca battendosi per la memoria della madre e a sostegno della libertà di espressione. Ma con l’inizio della guerra in Ucraina, i rischi per la sicurezza di Vera e della sua famiglia sono aumentati. A scuola, la figlia Anna - che porta lo stesso nome della nonna materna - ha definito apertamente “invasione dei confini ucraini” ciò che in Russia deve essere chiamata “operazione speciale” e ha cominciato a subire episodi di bullismo.

Nell’ultimo decennio, ha spiegato Politkovskaja, le intimidazioni nei suoi confronti non si sono d’altra parte fermate e le leggi che sono state varate hanno progressivamente limitato la libertà di espressione in luoghi fisici e online. «In Russia si può parlare liberamente solo in cucina, lasciando il telefono in un’altra stanza e possibilmente spento. Ciò che si deve capire è che le leggi adottate hanno reso il libero pensiero stesso illegale, per la sua espressione si può essere arrestati e condannati».

Con l’intensificarsi delle minacce, Vera Politkovskaja ha deciso di lasciare il Paese e attualmente vive in un luogo segreto con la figlia fuori dalla Russia. Superare la frontiera, però, è stato difficile: durante il viaggio sotto copertura, la Dacia di famiglia - l’abitazione di campagna dove Anna Politkovskaja curava il suo giardino e i figli custodivano i suoi ricordi - è bruciata in un incendio doloso.

La lotta per la verità sull’assassinio della madre non si è tuttavia conclusa con il suo trasferimento, ha dichiarato Vera Politkovskaja: «Noi membri della famiglia non abbiamo perso la speranza che i mandanti paghino per quello che hanno fatto. Ovviamente abbiamo i nostri sospetti, ma la presunzione di innocenza ci impedisce di fare i loro nomi».

Al contrario, nei confronti del suo Paese, non nutre buone aspettative fino a quando Putin - che non esita a definire un dittatore - rimarrà Presidente. «La sensazione è che la guerra durerà ancora molto e che lui non si fermerà. Per tutte le modifiche che ha apportato alla costituzione, Putin può rimanere in carica fino al 2036 e molto probabilmente ci rimarrà», ha detto Politkovskaja guardando il pubblico di fronte a sé.

Ma questo per lei non è un buon motivo per non intervenire a sostegno dell’Ucraina aggredita: «Io sono assolutamente d’accordo sul fatto che, se per strada vedi una persona in un angolo buio che viene picchiata, devi aiutare quella persona. Se volti lo sguardo dall’altra parte, chi sei?»

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