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Bystander behaviour: perché non interveniamo di fronte alle ingiustizie?

Quello di Sgarbi al Maxxi, che ha diffuso sessismo e insulti senza che nessuno lo fermasse, è solo l’ultimo caso. Ma sono tantissime le volte in cui di certi episodi ci limitiamo a essere spettatori passivi
Credit: Artem Artemov
Costanza Giannelli
Costanza Giannelli giornalista
Tempo di lettura 5 min lettura
15 luglio 2023 Aggiornato alle 20:00

Quello del 22 giugno al Maxxi – quando Vittorio Sgarbi, sottosegretario alla Cultura, ha alternato in una conversazione con Morgan sessismo e parolacce senza che nessuno intervenisse per fermarlo – è stato l’ennesimo episodio. Ma sono tante, troppe, le volte in cui di fronte a una discriminazione, a un discorso di odio, un comportamento socialmente inaccettabile, e addirittura a situazioni di estrema difficoltà come violenze, crimini o emergenze, le persone che assistono non fanno altro se non, appunto, assistere passivamente. Non agiscono, non prendono posizione, non si espongono, convinte che qualcun altro lo farà al posto loro.

In termini scientifici si chiama bystander behaviour (o effect), in italiano lo chiamiamo effetto spettatore: è il comportamento di chi, in mezzo agli altri, si limita a osservare. Più alto è il numero degli spettatori, minore è la probabilità che qualcuno faccia qualcosa.

Cos’è il bystander behaviour?

L’enciclopedia Britannica definisce il bystender effect come “l’influenza inibitrice della presenza di altri sulla volontà di una persona di aiutare qualcuno che ne ha bisogno”.

Il concetto è stato reso popolare dagli psicologi Bibb Latané e John Darley nel 1964, in seguito all’omicidio di Kitty Genovese a New York. La donna di 28 anni era stata pugnalata a morte fuori dal suo appartamento e tra decine di vicini, nessuno era intervenuto per aiutarla o chiamare la polizia.

Bystander behavior: perché ci limitiamo a guardare?

È normale che le persone si blocchino o subiscano uno shock quando vedono qualcuno che ha un’emergenza o viene attaccato. Di solito si tratta di una risposta alla paura. Nell’effetto spettatore però entrano in gioco altri due fattori: diffusione della responsabilità e influenza sociale. La diffusione percepita della responsabilità significa che più spettatori ci sono, meno responsabilità personale gli individui sentiranno. L’influenza sociale, invece, significa che gli individui monitorano il comportamento di coloro che li circondano per determinare come agire.

In alcuni contesti, ci sono anche altre variabili da considerare. È il caso della violenza sessuale contro le donne. Secondo diverse ricerche, infatti, i testimoni maschi che hanno atteggiamenti sessisti o sono sotto l’effetto di droghe o alcol hanno meno probabilità di intervenire per aiutare attivamente una donna aggredita.

O, a per tornare a un esempio attuale, delle “battute” o molestie in contesti come quello lavorativo. Nelle “chat dei maschietti” – come quella svelata dal metoo delle agenzie pubblicitarie – e dei vari “gruppi del calcetto”, tra l’osservare e l’agire si frappongono coesione sociale, mentalità di branco, educazione patriarcale, mascolinità tossica e cultura dello stupro.

Inoltre, spiega il Bystander Intervention Tip Sheet dell’American Psychological Association (Apa), tra le barriere che ci impediscono di agire ed essere un upstander – “uno spettatore che riconosce atti o espressioni di ingiustizia e prende posizione interrompendo e sfidando situazioni che normalizzano la discriminazione e la potenziale violenza” – ci sono:

• costi sociali ed economici del non riuscire a essere un upstander

• paura di non venire presi sul serio o di essere visti come persone che si lamentano

• non conoscere o saper interpretare una situazione come discriminatoria

• non avere relazioni sociali con le vittime di discriminazione e pregiudizi

• paura della punizione

• status o potere percepito del colpevole

• norme sociali che tollerano la discriminazione o l’emarginazione

• voglia di evitare i conflitti

• percepire le proprie azioni o conoscenze come inefficienti per intervenire

Quando agisce il bystander behavior?

L’effetto spettatore viene generalmente messo in relazione a situazioni di difficoltà o emergenza, oltre che a veri e propri crimini: persone che vengono offese pubblicamente, spesso a causa di motivazioni razziali, donne che vengono molestate, rapine, aggressioni, fino ai casi più estremi come l’omicidio, come nel caso di Kitty Genovese.

Come abbiamo visto, però, ci sono molte altre situazioni in cui, invece di intervenire, le persone tacciono e osservano. Momenti molto più quotidiani e comuni e che solo in casi più celebri – quello di Sgarbi, appunto, ma anche la “chat degli 80” che secondo le testimonianze non sarebbe affatto un unicum – scatenano rabbia e biasimo. Molto più spesso, proprio perché nessuno interviene, queste piccole grandi violenze si consumano impunite.

Tra gli esempi di situazioni in cui si può essere bystander o un upstander l’Apa cita, infatti, tutti casi che ci si presentano nella vita quotidiana: “Un tuo conoscente fa una battuta razzista in un contesto privato. Senti una persona che fa un’osservazione sessista su un collega. Assisti a uno studente queer vittima di bullismo da parte di un altro studente. Osservi un individuo emarginato che subisce micro aggressioni da parte di un altro individuo”.

In quanti di questi casi ognuno di noi prende la parola per dire qualcosa?

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