Diritti

I talebani non revocano le restrizioni contro le donne

Secondo Roza Otunbayeva, capo della Missione di assistenza Onu in Afghanistan, «finché i divieti saranno in vigore, è quasi impossibile che il Governo venga riconosciuto dai membri della comunità internazionale»
A Berlino, una manifestazione delle donne afghane e dei gruppi della diaspora contro i talebani in Afghanistan, marzo 2023
A Berlino, una manifestazione delle donne afghane e dei gruppi della diaspora contro i talebani in Afghanistan, marzo 2023 Credit: Gerald Matzka/dpa
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
23 giugno 2023 Aggiornato alle 08:00

«I divieti alle donne costano ai talebani legittimità nazionale e internazionale, mentre infliggono sofferenze a metà della popolazione del Paese e danneggiano la sua economia». Così Roza Otunbayeva, l’alta funzionaria a capo della missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, si è rivolta al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. «Finché questi decreti saranno in vigore è quasi impossibile che il loro Governo venga riconosciuto dai membri della comunità internazionale».

Da quando sono tornati al potere, da agosto 2021, i talebani hanno gradualmente vietato alle donne l’accesso alla vita pubblica, escludendole prima dall’università e chiudendo la maggior parte delle scuole superiori femminili, poi impedendo loro di frequentare i parchi pubblici e le palestre e di lavorare per le organizzazioni umanitarie locali e straniere. Questo, secondo gli operatori, ha reso più difficile raggiungere le donne in difficoltà e indotto i donatori a trattenere i finanziamenti.

La funzionaria Otunbayeva ha esortato le autorità talebane a revocare tutte le restrizioni, inclusa quello che impedisce alle donne di collaborare con le Nazioni Unite, in vigore da aprile dello scorso anno. In quell’occasione, in un colloquio con i funzionari dell’Onu, i talebani avevano annunciato che avrebbero vietato alle donne di lavorare con le Nazioni Unite, estendendo anche all’organismo mondiale il divieto fino a quel momento limitato “solo” alle organizzazioni non governative. Una decisione che aveva reso ancora più complesso continuare a dare pieno sostegno al popolo afghano.

All’epoca, su circa 3.300 dipendenti afghani delle Nazioni Unite nel Paese, almeno 400 erano donne: l’organizzazione internazionale comunicò loro di non presentarsi negli uffici fino a nuovo avviso per motivi di sicurezza. «Il personale femminile è essenziale affinché le Nazioni Unite forniscano assistenza salvavita», aveva dichiarato la portavoce dell’Onu Stephane Dujarric: «circa 23 milioni di persone, più della metà della popolazione afghana, hanno bisogno di aiuti umanitari».

Ma il Governo talebano, che ancora oggi non è stato riconosciuto ufficialmente da nessun Paese straniero o organizzazione internazionale, sostiene di rispettare i diritti delle donne in conformità con la sua rigida interpretazione della legge islamica. E per questo chiede «di essere accettato dall’Onu e dai suoi membri - ha spiegato Otunbayeva - ma allo stesso tempo agisce contro i valori chiave espressi nella Carta delle Nazioni Unite».

Di fronte al Consiglio di sicurezza, Otunbayeva ha spiegato di essere stata «schietta» con i talebani riguardo gli ostacoli che stanno generando i loro decreti e le restrizioni alle donne nella vita pubblica, in primis quello di scolarizzazione oltre il livello primario. La funzionaria gli ha comunicato che se continueranno a limitare i diritti umani di donne e ragazze, «è quasi impossibile che il loro Governo verrà riconosciuto».

I talebani non le hanno fornito alcuna spiegazione relativamente alle restrizioni legate alle attività delle donne afghane con le Nazioni Unite, «e nessuna assicurazione che saranno revocate». Per questo Otunbayeva ha dichiarato che «non metteremo in pericolo il nostro personale nazionale e quindi chiediamo loro di non presentarsi al lavoro», ma di lavorare da casa o (per il personale maschile non essenziale) da remoto. Ha aggiunto che la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan, Unama, che lei dirige, non ha intenzione di sostituirle con del personale maschile.

I decreti dei talebani, oltre a non ottenere consensi a livello internazionale, sono «altamente impopolari tra la popolazione afgana», ha aggiunto Otunbayeva. La funzionaria ha invitato gli ambasciatori e la comunità internazionale a fare di più per garantire la futura stabilità dell’economia afghana, soprattutto alla luce di un previsto calo dei finanziamenti umanitari quest’anno.

In un Paese in cui, secondo la Banca Mondiale, il 58% della popolazione che lotta per soddisfare i bisogni primari e 28 milioni di persone necessitano di qualche forma di assistenza umanitaria, Otunbayeva ha esortato i talebani a revocare le restrizioni in modo che le Nazioni Unite possano continuare a sostenere pienamente il popolo. E le donne possano tornare a condurre una vita degna di essere vissuta.

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