Ambiente

Aumentano le dighe ma non le riserve d’acqua

La ricerca pubblicata su Nature Communication analizza la quantità idrica stoccata nei bacini artificiali del Pianeta. Con qualche dato positivo e qualche sorpresa
Jaromír Kavan
Jaromír Kavan
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16 giugno 2023 Aggiornato alle 21:00

I laghi naturali e artificiali coprono 5 milioni di chilometri quadrati della superficie terrestre e contengono il 90% dell’acqua superficiale del Pianeta. Siccità e cambiamenti climatici stanno mettendo a dura prova queste enormi riserve idriche, che sono sempre più soggette a evaporazione: in media “perdono” 1.500 chilometri cubi all’anno a livello globale.

Questi e altri dati sono ancora più importanti oggi, vigilia della Giornata mondiale della desertificazione e della siccità celebrata ogni 17 giugno dal 1995 dalle Nazioni Unite per diffondere consapevolezza e cercare soluzioni comuni. Quest’anno il tema è dedicato ai diritti alla terra delle donne, con il claim “Her Land, Her Rights” (la sua terra, i suoi diritti).

Proprio in questi giorni è stato pubblicato un nuovo studio su Nature communication che analizza la quantità di acqua disponibile nei serbatoi mondiali, fino a oggi non ancora ben quantificati su scala globale, fondamentali per garantire l’accesso acqua a tutti.

Grazie alle osservazioni satellitari, la ricerca ha stimato le variazioni di stoccaggio di 7.245 invasi dal 1999 al 2018. Se la capacità “teorica” di accumulo è aumentata a un tasso di 27,82 km3/anno (principalmente dovuto alla costruzione di nuove dighe), lo stoccaggio effettivo è diminuito dello 0,82 soprattutto nei Paesi del Sud del mondo globale.

“Con il deflusso previsto in calo e l’aumento della domanda di acqua, questi rendimenti probabilmente persisteranno in futuro” avvisano gli scienziati che hanno lavorato alla ricerca. Specificando che “anche se i serbatoi globali hanno una capacità totale molto più piccola rispetto ai laghi naturali, la loro regolazione del flusso rappresenta l’alterazione più intensa indotta dall’uomo del ciclo idrologico”.

Durante il 20° secolo c’è stato un boom di costruzione di dighe, a partire dal Nord America, che hanno migliorato la capacità di gestire le risorse di acqua dolce della Terra “ma hanno anche imposto effetti ambientali e sociali negativi” avvisano gli esperti nel report.

Dopo un calo della crescita durante gli anni ‘90, centinaia di grandi nuove dighe sono state costruite in Asia, Africa e Sud America. Altre 3.700 sono in fase di pianificazione o in costruzione nei Paesi in via di sviluppo.

La maggiore domanda di acqua dovuta alla siccità ha reso fondamentale dotarsi di queste preziose riserve, ma “la costruzione di dighe e le operazioni sono raramente coordinate tra i Paesi, nonostante quasi la metà di tutti i terreni siano coperti da bacini fluviali internazionali” avvisa il report. “Le misurazioni dello stoccaggio dei serbatoi spesso non sono condivise e i modelli terrestri e idrologici producono stime incerte: il telerilevamento satellitare fornisce invece una valida alternativa per il monitoraggio”.

Dal “cielo” arrivano anche gli ultimi dati allarmanti sulla siccità in Europa: secondo il programma Copernicus Climate Change Service per il controllo del cambiamento climatico l’ultimo inverno è stato caldissimo. Tra dicembre 2022 e febbraio 2023, la temperatura media europea è stata di 1,4°C superiore alle annate precedenti.

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