Diritti

Nascere e crescere a 200 metri da B.

Sui social media chi è contro, chi è pro. Non si può non schierarsi su Berlusconi? E invece per me è una cosa che ha a che fare con la provincia nella quale sono nata. Non ne vado fiera, ma è casa
Credit: ANSA/ RADAELLI
Cristina Sivieri Tagliabue
Cristina Sivieri Tagliabue direttrice responsabile
Tempo di lettura 7 min lettura
13 giugno 2023 Aggiornato alle 15:30

Questo articolo merita un antefatto. La sottoscritta direttrice de La Svolta sta scrivendo in ritardo sulla morte di B. perché c’è un’altra persona, più o meno della sua età, più o meno del quartiere accanto, ma molto molto cara, che sta venendo a mancare. Nello stesso momento in cui Silvio non c’è più. Poche centinaia di metri accanto, accade un altro disastro non collettivo. È un disastro personale.

Ed è per questo motivo che si spiega il ritardo temporale di una scrittura pensata, non perdonato dai social media che desiderano subito una risposta efficace e soprattutto un’opinione definita.

Pro o contro? Se il giornale pubblica un pezzo di Simone Spetia che ne parla come un grande personaggio della storia italiana, è troppo pro?

Cosa devo dire? Sicuramente sì, sicuramente no.

Chiedermi di prendere una posizione su Berlusconi è come chiedere di parlare male del Paese in cui sono nata. Certo che ne parlerò malissimo. Però poi è da lì che vengo. E non solo “fisicamente”.

È dalle televisioni commerciali, da una cultura di provincia intrisa di libri, personaggi dello spettacolo e shopping compulsivo. La cultura di Vogue sfogliato fino a consumare le pagine ma anche delle grechine e delle veline – ho anche scritto un libro inchiesta sul tema della chirurgia plastica e delle minorenni, proprio rivolto a denunciare i modelli estetici imposti dalla tivù delle tettone di B. – ma soprattutto la cultura degli uomini che comandano, e le donne cercano, professionalmente o meno, di ottener qualcosa dagli uomini. Perché di donne che comandano davvero le cose “pesanti”, dall’università in poi, ne ho viste pochissime.

È la cultura del capofamiglia degli anni Settanta dell’hinterland della città ricca che comanda lo Stivale. Il luogo dove - negli ultimi 15 anni - si è costruito di più in Italia. Dove la speculazione edilizia ha piantato le radici e non si scolla. Dove Berlusconi ha iniziato le sue avventure imprenditoriali. Brugherio, le case più belle dove vivevano – non scherzo – le mie amiche gemelle.

Milano Due - dove altre persone care si erano trasferite, insieme a parecchi dipendenti Mediaset. Berlusconi non faceva solo tante abitazioni. Berlusconi, e questo è incontrovertibile, costruiva gli appartamenti più belli nei luoghi più belli e tutti ci volevano andare ad abitare lì. Solo che costava di più.

Berlusconi – non solo a suo uso e consumo ma proprio in tutti i suoi progetti – sviluppava idee belle per coloro che le abitavano. Case con alberi intorno, servizi per le persone intorno ai palazzi, microquartieri verdi con laghi, laghetti e acqua. Nessuno prima ci aveva pensato, che io avessi visto, e la leggenda narra che per ottenere il silenzio assoluto per gli acquirenti dei suoi metricubi a Milano Due fosse riuscito a far deviare il traffico dell’atterraggio degli aerei su Linate.

Ma sia chiaro, sono tutti sentiti dire che arrivano dall’infanzia e dall’adolescenza di chi lo viveva come un vicino di casa importante prima della sua prima televisione privata. Prima di Mike Buongiorno. Prima di tutto di quello di cui si parla ora e delle sue gesta politica, già di Berlusconi si parlava tantissimo dalle nostre parti.

Perché dalle nostre parti si è sempre parlato di soldi, senza vergogna. Il vile denaro di chi ce l’ha. Di chi lo fa. Di chi invidia e rispetta il denaro e chi lo fa. Questa è Monza, ora diventata provincia Monza Brianza. Ai miei tempi, ancora provincia di Milano senza voler la metropolitana però, che porta i consumatori nella grande città e li ruba ai nostri commercianti.

E infatti per noi le città erano solo sinonimo di concerti. Si va a Milano per Pino Daniele, George Micheal e meno male che i Pink Floyd nell’89 sono passati dal Parco di Monza oltre che da Venezia.

A noi interessava la musica ma quella disimpegnatissima. Frequentavamo i licei dei benestanti dove il massimo della rivoluzione lo faceva il partito “Joydivision”: uno schieramento di quelli che domandava al consiglio d’istituto più divertimento per tutti. Perché in Brianza, di partiti politici proprio non se ne parla. Non è un argomento.

Le ideologie, già negli anni Novanta, non esistevano. E siccome Berlusconi il mondo se l’è preso negli anni Ottanta, ecco, non credo che sia proprio colpa sua se nell’universo di chi mi stava accanto durante le scuole superiori non avesse come suo centro la questione politica. Il centro eravamo noi, e devo dire, neppure a tavola si è mai parlato troppo animatamente di Andreotti.

Noi parlavamo di chi c’era vicino, siccome abitavamo vicino alla dimora di Silvio Berlusconi, anche se non era un politico, parlavamo di lui. Quando la acquistò dalla famiglia Casati per un prezzo di favore, 500 milioni di lire – si narra avesse condotto la trattativa Cesare Previti se ne parlò tantissimo in zona, soprattutto tra gli imprenditori della Brianza. Che a Villa San Martino guardavano con cupidigia e non si spiegavano come avesse potuto esser svenduta per così poco. Ma poi, come tutte le cose dei grandi, finì nel dimenticatoio.

Quello che mi rimase impresso invece fu quel giorno che mio padre tornò dal lavoro e disse: “oggi ho conosciuto una persona più intelligente di me”. E per me, piccola bambina convinta che il proprio papà fosse l’uomo più intelligente del mondo, fu come una sorta di evento. Da una parte, riportò papà a una dimensione umana, e dall’altro mi rese ancora più curiosa.

Allora, dietro tutta quella ricchezza si nascondeva intelligenza? Allora la ricchezza non era una cosa data, era una cosa che arrivava con il lavoro, con le capacità professionali?

Sono certa che mio padre, che pure fisicamente assomiglia un po’ a Silvio Berlusconi, non lo abbia mai votato e che anzi lo abbia poi anche un po’ disprezzato per diverse scelte politiche, però ricordo ancora il giorno in cui mi passò gli inviti per un concerto a Teatro Manzoni. Era la presentazione a numero chiuso di Publitalia: avevo credo appena terminato il liceo o qualcosa del genere, e mi fiondai. Era un evento spettacolare in cui si parlava di palinsesti, c’erano personaggi famosi e c’era lui a tenere banco. E in mezzo a Mike Buongiorno e Iva Zanicchi, era decisamente lui il presentatore più bravo di tutti.

Più avanti, all’università, ebbi la fortuna di prendere un appartamento in affitto con una studentessa piemontese oggi importante magistrata milanese, e grazie a lei e alle chiacchiere e alle letture sviluppai l’interesse per la politica, per il tema dei diritti, e acquisii uno spirito critico tanto che studiai molto i media, la psicologia di massa e successivamente la campagna elettorale “televisiva” di Silvio Berlusconi.

Decisi, anche, di abbandonare la Brianza e l’abitazione in cui sono vissuta per trovare la mia identità di persona e di giornalista. Ma ogni volta, come oggi, in cui torno alla stazione di Arcore per far visita ai miei non posso scordare le file di persone che speravano di diventare amiche di Piersilvio, mia zia gioielliera – appena mancata anche lei, purtroppo – che preparava il giorno di prima di Natale dei pacchetti “last minute” per clienti come B., che passavano e avevano bisogno di tante cose pronte subito.

La studentessa del liceo accanto che si fidanzò con Piersilvio ed ebbe un figlio con lui, giovanissima. La più invidiata della città. E ancora tutte quelle cose accadute “prima” del Silvio Berlusconi che sono stati solo incroci causali ma che raccontano una periferia italiana che ricorda molto – poi quando ci sono stata – quella americana: le casette a schiera con i giardinetti, l’ipermercato gigante, il patentino della moto come migliore amico perché senza di lui non te ne vai da nessuna parte, non schiodi, non fuggi via non dico per sempre, ma almeno per qualche ora. (segue…)

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