Economia

Moda Uk: i fornitori guadagnano meno per colpa delle aziende

A Leicester, i produttori tessili denunciano profitti ridotti a causa di sconti o cancellazioni dell’ultimo minuto, dovute al rapido cambiamento dei trend. Un fattore riconducibile al mondo del fast fashion
Credit: Mukuko Studio
Tempo di lettura 4 min lettura
9 giugno 2023 Aggiornato alle 09:00

L’industria della moda è sempre più lontana da uno sviluppo sostenibile. Il fenomeno del fast fashion è ormai un modello di produzione consolidato e fa gola a chi desidera indossare indumenti di tendenza a basso costo. Ciò che non viene a galla è il danno che la “moda veloce” provoca a livello ambientale e sociale.

Secondo l’Agenzia europea per l’ambiente, nel 2020 sono state emesse 121 milioni di tonnellate di gas serra per i prodotti tessili consumati nell’Ue, mentre a livello globale si stima che il settore della moda sia responsabile del 10% delle emissioni di CO2: un numero maggiore rispetto a quelle generate da tutti i voli internazionali e del trasporto marittimo messi insieme.

Altri dati sono relativi al consumo in eccesso delle risorse naturali: per la coltivazione di cotone e altre fibre e la produzione tessile, nel 2015, a livello globale, sono stati utilizzati 79 miliardi di metri cubi di acqua; dati che si accompagnano all’inquinamento globale dell’oro blu potabile, il cui 20% deriva dalla produzione tessile.

La spasmodica rapidità di acquisto comporta la messa in campo di molti “primi lavaggi” dei nuovi indumenti: sono proprio questi primi lavaggi a disperdere la maggior parte delle microplastiche contenute nei tessuti. Si stima che il lavaggio di capi sintetici rilasci ogni anno 0,5 tonnellate di microplastiche nei mari.

I bassi costi di produzione portano necessariamente a un ciclo di vita degli indumenti molto breve. I cittadini europei acquistano ogni anno, in media, 26 kg di prodotti tessili e ne smaltiscono circa 11 kg, i quali, per l’87%, vengono abbandonati nelle discariche e inceneriti.

Altro discorso da affrontare è quello relativo ai diritti dei lavoratori, con i maggiori problemi che si riscontrano a livello salariale e, soprattutto, per le pessime condizioni in cui operano.

Le imprese fornitrici dei materiali tessili lamentano il fatto che vari brand del settore non abbiano un comportamento rispettoso del lavoro delle piccole imprese. Il recente episodio di Leicester, analizzato dal Guardian e da Labor behind the label, cooperativa no profit impegnata sui diritti dei lavoratori nell’industria dell’abbigliamento, mette in luce i difficili rapporti tra i fornitori e aziende.

I fornitori affermano che i loro profitti vengono ridotti a causa di pratiche punitive, come a esempio l’imposizione di sconti dal 10 al 20% sugli ordini consegnati e non, cancellazioni last minute e sanzioni finanziarie per errori di imballaggio.

Le cancellazioni dovute al rapido cambiamento dei trend provoca pesanti danni a queste imprese, le quali sono obbligate a svalutare i propri prodotti e a rimetterci economicamente. Labor behind the label stima che delle 1.000 fabbriche presenti a Leicester nel 2020, la metà di esse sia stata costretta a chiudere.

Muller, direttore delle politiche dell’associazione ha dichiarato che «I grandi marchi della moda continuano a trattare i fornitori e, in ultima analisi, i loro lavoratori con disprezzo e mancanza di rispetto. Imporre sconti unilaterali o riduzioni di ordini quando la merce è già stata prodotta o il tessuto acquistato è un comportamento abusivo e prepotente da parte dei marchi. Molte di queste aziende hanno codici di condotta che fanno belle promesse di pratiche di acquisto etiche, ma la realtà è molto diversa».

Contrastare, o quantomeno limitare, il fenomeno del fast fashion è possibile, ma richiede l’impegno attivo di consumatori e imprese per una transizione al sustainable fashion, una concezione della moda basata su una maggiore integrità ecologica e giustizia sociale.

In quanto consumatori, è fondamentale perseguire acquisti etici che indirizzino le policy di produzione dei brand d’abbigliamento: una riflessione critica riguardo il proprio modo di acquistare è il primo passo. Informarsi sui materiali e i modi di produzione, valutare le quantità e la qualità degli indumenti e comprare capi di seconda mano sono le azioni principali per un cambiamento del mercato della moda.

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