Ambiente

Crisi climatica: i giovani sono schierati in prima fila

Sono i protagonisti della lotta al cambiamento climatico. Ma per il 60% di loro, secondo il sondaggio Ipsos per conto dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, dovrebbe essere un impegno intergenerazionale
Credit: Ana Fernandez/SOPA Images via ZUMA Wire
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7 giugno 2023 Aggiornato alle 07:00

I giovani vogliono fare la loro parte, non solo con le parole, ma anche con i fatti. E lo fanno su grandi temi, come diritti e ambiente, temi di cui anche la politica dovrebbe interessarsi, ma spesso fa orecchie da mercante.

Sono le ragazze e i ragazzi che sono nati dopo la Prima Repubblica, gli stessi giovani che la Seconda ha deciso di ignorare e che, alle ultime elezioni, hanno ricambiato optando per l’astensionismo. Eppure, nelle questioni reali, concrete, loro ci vogliono essere. Vogliono essere soggetti attivi, e lo hanno dimostrato andando a spalare fango nelle zone alluvionate e organizzando proteste strutturate contro il caro-affitti che ha travolto gli studenti universitari.

E, più di ogni altra cosa, hanno a cuore la questione ambientale. Ma attenzione: non identificate questi giovani solo con gli attivisti che imbrattano monumenti o bloccano le strade. Perché sono un insieme di gruppi molto più eterogeneo, ciascuno con il proprio pensiero e le proprie esperienze.

Proprio il tema dell’impegno giovanile nei confronti dell’ambiente è stato indagato di recente anche da Ipsos per conto dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo e in collaborazione con il Corriere della Sera e Pianeta 2030. Un impegno che per il 60% degli intervistati non è appannaggio esclusivo dei giovani, ma riguarda tutti.

Una battaglia intergenerazionale, insomma, che richiede un dialogo, un confronto per raggiungere l’obiettivo comune: salvare il Pianeta dalla crisi climatica. Una responsabilità che dipende per un terzo degli intervistati dalle scelte quotidiane dei singoli cittadini, per un terzo dalle aziende e, per un terzo, dalla politica.

Emergono poi alcune criticità: più del 40% dei rispondenti dichiara di voler vivere sì in modo più sostenibile, ma che è una scelta che non è pratica. Ed ecco che oltre 1 su 3 nella fascia 14-17 anni non privilegia la praticità ma non si sente pienamente coerente con l’impegno quotidiano verso la sostenibilità. Dato che migliora leggermente nella fascia 18-22 anni: qui oltre 1 su 5 adottano una posizione di impegno in prima persona anche nelle proprie azioni private.

Ma è una battaglia che da soli non possono vincere. Ed ecco alcuni dati interessanti che emergono nell’indagare quali siano le loro fonti di informazione, fonti che fanno acquisire consapevolezza sulla tematica, e quale sia il ruolo che gioca o che dovrebbe giocare la scuola in questo contesto.

Tra le fonti su cui i giovani e i giovanissimi fanno più affidamento per costruire il proprio pensiero sulla questione ambientale ci sono al primo posto scienziati ed esperti (74,5% nella fascia di età 14-17 anni e 70,2% nella fascia 18-22 anni) e genitori (79,8% nella fascia di età 14-17 anni). Seguono, sempre nella fascia 14-17, gli insegnanti (66,8%), i social network (56,3%) e la stampa (49,8%). Nella fascia 18-22 a scienziati ed esperti fanno seguito social network (57,6%), i genitori (55,9%), gli insegnanti (50,2%) e, infine, la stampa (45,1%).

Infine, anche la Scuola dovrebbe giocare un ruolo nella promozione dei tre pilastri della sostenibilità alla base di Agenda 2030, ossia ambiente, società ed economia. Come? Nella fascia 14-17 anni, per il 39,4% degli intervistati la scuola dovrebbe promuovere un pensiero orientato al futuro oltre alla conoscenza storica (dato al 40,1% nella fascia di età 18-22), mentre per il 41% degli intervistati l’istituzione scolastica dovrebbe impegnarsi a stimolare il ragionamento piuttosto che impartire lezioni nozionistiche (dato che sale invece al 42,7% nella fascia 18-22).

Sono giovani che si mettono in gioco, mettendo da una parte al centro il proprio protagonismo e, dall’altra, riconoscendo le competenze degli adulti, quegli stessi adulti che, spesso, non riconoscono le competenze delle nuove generazioni.

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