Ambiente

Trattato globale plastica: bozza a novembre, Paesi divisi

Dopo 1 settimana di colloqui, alcuni Stati chiedono misure rigorose e vincolanti; altri, invece, puntano a sistemi e piani nazionali che non limitino la produzione
Credit: Antoni Shkraba
Tempo di lettura 4 min lettura
6 giugno 2023 Aggiornato alle 11:00

La data di scadenza è vicina (2024), eppure le Nazioni del mondo sembrano ancora decisamente divise su come affrontare l’emergenza da inquinamento da plastica.

A Parigi è andato in scena uno dei round sui negoziati per il Trattato globale sulla plastica, che dovrebbe entrare a regime fra un anno ma che è ancora lontano dal trovare una quadra.

Nella settimana di colloqui delle Nazioni Unite si sono confrontati oltre 170 Paesi divisi su più punti: le decisioni vanno prese per maggioranza oppure a seconda del singolo consenso di ogni Stato? E ancora: quello che verrà stabilito sarà totalmente vincolante oppure no? Ci saranno limiti chiari alla produzione di nuova plastica?

Tutti quesiti che, dopo ore di negoziati, trovano poche risposte e una sola certezza: entro novembre di quest’anno andrà prodotta una prima bozza del trattato, un atto che sarà decisivo per il futuro round di incontri a Nairobi in Kenya.

Per ora le posizioni più discordanti riguardano soprattutto il fatto se le regole che usciranno dal documento saranno giuridicamente vincolanti e se limiteranno la produzione di nuove materie plastiche da parte delle big del petrolchimico. Relativamente a questo (va detto che, un po’ come è successo a Cop27, anche a Parigi non sono mancanti i lobbisti del settore della plastica) c’è divisione soprattutto tra i Paesi grandi produttori e altri che invece subiscono l’inquinamento da plastica.

Un gruppo di circa 130 Stati tra cui Canada, buona parte dell’Europa, Nuova Zelanda, Messico e altri, vuole regole rigorose e vincolanti. Un altro, con Paesi che hanno multinazionali dei combustibili fossili (come a esempio Cina, Usa o Russia) preferiscono un sistema volontario in cui i singoli Paesi aderiscono al Trattato ma possono stabilire determinati piani interni (anche di produzione).

Alcuni grandi marchi che hanno a che fare con la grande distribuzione e con il consumo di plastica, chiedono un approccio rigoroso in modo che ci sia armonizzazione per tutti i Paesi e le industrie sulle regole. Le norme dovrebbero affrontare inoltre l’intero ciclo di vita della plastica, non solo il fine vita, e il possibile (ma difficile) riciclo.

L’American Chemistry Council (Acc), che rappresenta il settore petrolchimico, indica la necessità di regole che non portino a una produzione ridotta ma, piuttosto, all’aumento della gestione dei rifiuti e il riciclo.

Il timore degli attivisti e degli ambientalisti è però (così come avvenuto in Egitto alla Conferenza delle parti sul clima) che, anche per questa partita targata Onu, l’ingerenza dell’industria petrolchimica sia tale da portare a un trattato con pochi obblighi e molte libertà di azione. Il rischio, dicono, è che il Trattato globale sulla plastica si concentri sulla “gestione dei rifiuti” quando invece dovrebbe guardare soprattutto a limitare “nuova produzione di plastica”.

Con le stime che parlano di plastica nel mondo triplicata entro il 2060, se non verrà posto un freno all’inquinamento, e tenendo conto delle difficoltà di recupero (appena il 9% riciclato), è logico che l’attenzione oggi sia soprattutto sulla produzione ma, allo stesso tempo, a causa dei necessari processi di decarbonizzazione legati al clima, molte aziende del fossile non intendono rinunciare anche alla plastica.

La partita è dunque rinviata, anche se il tempo per decidere è poco: come si comporteranno i vari Paesi lo si capirà meglio probabilmente fra pochi mesi quando verrà preparata la “bozza zero”, quella relativa alle questioni chiave che dovrà riflettere la posizione delle varie Nazioni nell’affrontare una delle grandi emergenze di questo secolo.

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