Ambiente

Ultima chiamata per evitare un mondo di plastica

La Giornata mondiale dell’Ambiente è dedicata alla lotta contro l’inquinamento da plastica. L’emergenza causata dal materiale sta passando sempre più sotto traccia. Ora le speranze sono riposte nel Trattato globale
Credit: Antoni Shkraba
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5 giugno 2023 Aggiornato alle 07:00

È letteralmente ovunque eppure continuiamo a dimenticarcene.

In un mondo di emergenze continue, da quella sanitaria a quella del clima, passando per la crisi energetica sino alle guerre, negli ultimi anni uno dei problemi più importanti per salvaguardare l’ambiente e le nostre vite è passato un po’ sotto traccia: eppure l’inquinamento da plastica continua a crescere.

Il 5 giugno si celebra la Giornata mondiale dell’Ambiente e quest’anno, a cinquant’anni dall’inizio di questa ricorrenza, il tema scelto è quello della plastica. Non è un caso: i problemi legati alla diffusione di questo materiale complicatissimo da riciclare (appena il 9%) stanno diventando sempre più intricati e al centro di scenari geopolitici internazionali.

Da una parte c’è la questione ambientale: la plastica uccide migliaia di specie marine (e non solo), compromette la salvaguardia della biodiversità e inquina fortemente oceani e territori. Poi di salute: le microplastiche sono ormai state trovate in diversi organi del corpo umano, persino nel cervello, ma è ancora difficile stabilire cosa causeranno sul lungo termine.

Ma c’è un problema anche climatico a esempio: le tonnellate di plastica che si riversano nei nostri mari arrivano soprattutto dai fiumi (i dieci principali sono fra Asia e Africa) e si stanno accumulando a tal punto che, dicono nuove ricerche, ostruiscono i corsi d’acqua tanto che quando la crisi del clima si fa sentire, per esempio con le inondazioni che anche in Italia abbiamo sperimentato, la plastica contribuisce a far esondare i fiumi.

Infine, e non di poco conto, anzi potremmo dire centrale, c’è la questione economica: molti governi e aziende non sono pronti a rinunciare a un materiale che è diventato parte delle nostre vite negli ultimi settant’anni ed è complesso da sostituire e allo stesso tempo è un’ottima assicurazione per l’industria del petrolio che, in tempi di battaglie ai combustibili fossili, resta ancorata allo sviluppo delle materie plastiche.

I numeri fanno paura: ogni anno in tutto il mondo vengono prodotte più di 400 milioni di tonnellate di plastica, metà delle quali progettate per essere utilizzate una sola volta e di queste se ne ricicla attorno al 10%.

Difficile da recuperare, oltre 20 milioni finiscono nei laghi, i fiumi e i mari ogni anno. Come se - a livello di peso - scaricassimo in ambiente 2.200 torri Eiffel.

Con il turismo e i flussi dei viaggiatori il consumo di plastica oltretutto aumenta in ogni angolo del globo: la produzione è cresciuta di oltre 22 volte negli ultimi 50 anni.

A questo punto, è tempo di accettare che l’insieme dei problemi generati dalla plastica non possono più essere soltanto affrontati parlando di migliorare la gestione e accrescere i tassi di riciclo: è arrivata l’ora di ripensare completamente al “modello plastica”, al suo intero ciclo di vita, a partire dall’uso di sostanze chimiche che hanno lo scopo di dar vita a un prodotto a nostro favore che nel tempo si trasforma però soltanto in un accumulo di emergenze.

La speranza nel tentativo di rompere la catena (anche economica) legata alla plastica arriva dal Trattato globale sulla plastica, occasione per limitare uso e produzione, per ridisegnare il nostro approccio a questo materiale. Non vedrà la luce (nel senso di diventare operativo o vincolante) prima del 2024 ma nelle ultime settimane, dopo l’incontro di 175 membri delle Nazioni Unite a Parigi, qualcosa si sta muovendo.

Anche qui, ovviamente, i Paesi a seconda degli interessi economici e delle necessità sono divisi. Eppure si sta iniziando a riconoscere la necessità di riportare in auge il tema, perché come ha detto il presidente francese Emmanuel Macron siamo davanti a una “bomba ecologica”.

Proprio Macron, almeno a parole, alla vigilia dei negoziati ha lanciato un appello affinché “si ponga fine a un modello globalizzato e insostenibile” di produzione e consumo della plastica.

«Se non facciamo nulla, la generazione dei rifiuti di plastica triplicherà ulteriormente entro il 2060. L’inquinamento della plastica è dunque una bomba a orologeria nonché un flagello già presente», ha ricordato il presidente, sottolineando poi un altro aspetto cruciale, che vale per la plastica così come per la crisi del clima, ovvero quello delle disuguaglianze.

La grande produzione di questo materiale (come in Cina o Paesi Ocse) sta infatti generando rifiuti che troppo spesso tra esportazioni e inquinamento finiscono altrove, nei Paesi meno economicamente sviluppati, che poi pagano il conto.

Ecco perché, come viene ricordato durante la Giornata mondiale dell’Ambiente, è fondamentale che il Pianeta affronti di petto la questione: il Trattato deve diventare centrale e con punti vincolanti, che si basino su un nuovo modello per porre fine all’inquinamento da plastica in tutto il mondo entro il 2040.

Significa minore produzione e consumo di polimeri plastici e addio a tutta quella plastica “non necessaria, evitabile o problematica”, così come a determinati prodotti chimici. Sarebbe un bene anche per le economie: secondo il Programma ambientale delle Nazioni Unite la riduzione dell’inquinamento da plastica dell’80% in tutto il mondo entro il 2040 potrebbe far risparmiare 4,5 trilioni di dollari, aumentare posti di lavoro e incrementare l’economia circolare.

Del resto, come chiosa Inger Andersen, sottosegretario generale delle Nazioni Unite e direttore esecutivo dell’Unep, «l’attuale infrastruttura di riciclo e gestione dei rifiuti non è in grado di far fronte al volume di plastica che l’economia lineare sta pompando ogni giorno con noncuranza e inutilmente. Non sarà mai in grado di farcela a meno che esca meno plastica dal sistema».

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