Ambiente

I trafficanti di flora e fauna selvatica operano sempre più nel dark web

Secondo una ricerca pubblicata su People and Nature 153 specie animali e vegetali sono commerciate illegalmente online. La maggior parte vengono vendute per motivi legati al traffico e al consumo di stupefacenti
Pappagallo cinerino
Pappagallo cinerino Credit: Sheau Torng Lim
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1 giugno 2023 Aggiornato alle 13:00

Nel mondo ci sono migliaia di animali e vegetali a rischio di sparire. L’avidità e il dominio irresponsabile degli esseri umani sul Pianeta ha portato all’estinzione di massa di migliaia di specie. Inquinamento, deforestazione, distruzione degli habitat naturali sono solo alcune delle cause, ma una delle più grandi minacce alla biodiversità rimane il commercio illegale di fauna e flora selvatica.

Ad oggi non esiste una cornice internazionale che regoli questi traffici, e la Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora (Cites) rimane un semplice accordo tra Governi che rimanda ai singoli Paesi la responsabilità di controllare e monitorare. Inutile dirlo, non tutti lo fanno.

La Convenzione, inoltre, include nella sua lista delle specie protette meno del 10% dei vertebrati e delle piante e meno dell’1% dei pesci e degli invertebrati esistenti, lasciando tutte le altre potenzialmente alla mercé di bracconieri e trafficanti. Secondo alcune stime il numero di specie attualmente commerciate è tre volte più alto di quello delle specie effettivamente protette; una lacuna gravissima dovuta anche al fatto che per dichiarare una specie a rischio il processo è lungo e tortuoso, e non sempre l’intervento riesce a essere tempestivo.

Così il commercio a scapito di tante specie di flora e fauna selvatica continua perlopiù impunito, e in anni più recenti è stato facilitato dalle connessioni offerte dal web.

Secondo una ricerca pubblicata su People and Nature, basata sui dati raccolti dal software Datacrypto, sono migliaia gli annunci di compravendita di wildlife sul dark web. I ricercatori e le ricercatrici ne hanno analizzati 3.332, su 51 marketplace, relativi a 153 specie commerciate online (58% piante, 39% funghi e 3% animali).

Emerge un dato nuovo e interessante, ovvero che la maggior parte delle varietà sono vendute per motivi legati al traffico e al consumo di stupefacenti. Ben il 90% degli annunci (relativi al 62% delle specie considerate) facevano riferimento alle sostanze chimiche dagli effetti psichedelici. Tra le specie più comuni utilizzate a questi scopi, oltre a un gran numero di funghi e piante, come la Mimosa tenuiflora dai potenti effetti allucinogeni, c’è anche il rospo del deserto di Sonora (o rospo del Colorado) che viene leccato per assorbire una tossina psicoattiva che l’anfibio secerne dalla pelle.

Diverse specie di flora selvatica vengono vendute anche per scopi medicinali, più o meno comprovati scientificamente, la maggior parte delle quali provengono dalla regione centro e sud americana.

La fauna viene invece commerciata per l’utilizzo di pelle e pelliccia (come per il caso del procione comune e di diversi rettili) o corna e zanne (come per il rinoceronte, l’elefante e la tigre) o come animali da compagnia, come decorazione o addirittura come cibo. Tra i “pets” preferiti del dark web ci sono l’Ara giacinto, il Pappagallo cinerino e lo Scarabeo Golia, tutti e tre a forte rischio di estinzione. Ma negli annunci si parla anche di leoni, ghepardi, ippopotami, renne e perfino un tipo particolare di cetriolo di mare originario del Giappone e lo Scorpione dorato cinese.

Non sono esclusi nemmeno i microrganismi, secondo gli autori e le autrici della ricerca potenzialmente utilizzabili per la creazione di armi biologiche. Tra le specie identificate, i batteri responsabili della difterite e del botulismo.

Fino a questo momento le misure adottate per contrastare il commercio di specie selvatiche sul web sono state molto poche, e le punizioni non sono efficaci, ma il dato davvero preoccupante che viene sottolineato dalla ricerca è che il volume di traffici che avvengono attraverso il dark web è molto più basso di quanto ci si aspetterebbe.

Se da un lato questo è sicuramente dovuto alla parzialità dei dati disponibili, data la vischiosità e la difficoltà di penetrazione dell’internet occulto, costruito per mantenere l’anonimato dei suoi utenti e dove non esistono motori di ricerca, dall’altro dipende anche dal fatto che buona parte dei commerci illeciti di animali e piante selvatiche avviene alla luce del sole, su siti accessibili dai comuni motori di ricerca o nel cosiddetto deep web, ovvero la rete di contatti che si crea tramite scocial network e app di messaggistica.

Gli sforzi maggiori per contrastare il commercio di specie selvatiche e protette viene da attori della società civile come la coalizione End Wildlife Trafficking Online, nata dalla collaborazione di alcune Ong con piattaforme online come Facebook, Alibaba e eBay. Questo tipo di azioni è sicuramente importante, ma per evitare che i traffici illeciti si spostino ancora più massivamente sul dark web sono necessarie misure governative a livello internazionale.

L’attacco alla Natura mette in pericolo tutti e tutte. Non solo perché porta all’estinzione di specie animali e vegetali con un danno irreversibile alla biodiversità, ma anche perché il diffondersi di specie aliene e invasive fuori dal loro habitat primario mette a rischio anche le specie autoctone, causando danni ecologici, economici e sanitari a livello globale. Ricerche come quella citata diventano allora cruciali per monitorare e quantificare la misura del fenomeno, per sensibilizzare l’opinione pubblica e, sperabilmente, per spingere a un azione collettiva ed efficace da parte dei Governi nazionali.

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