Economia

Stiamo vivendo l’era del “lavoro povero”?

Gli stipendi italiani (fermi ormai da quasi 30 anni) sono i più bassi d’Europa e dei Paesi Ocse. A pagarne le conseguenze, i giovani e la produttività
Credit: cottonbro studio.
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15 maggio 2023 Aggiornato alle 11:15

La situazione del mondo del lavoro, in Italia, è estremamente critica: il nostro Paese, infatti, presenta le retribuzioni più basse d’Europa e dei Paesi Ocse. La crisi, conseguentemente, ha investito anche la produttività. Sicuramente, fattori come la pandemia, la guerra in Ucraina e la crisi energetica hanno inciso profondamente sull’innalzamento dei prezzi e sull’inflazione; ma la verità è che la situazione ha radici ben più lontane.

L’Italia, infatti, non solo è l’unico dei Paesi Ocse a non aver assistito a un aumento delle retribuzioni negli ultimi 30 anni anzi, sono addirittura diminuite, subendo un calo del 3% (contro il +30% di Francia e Germania e il +6% della Spagna); ma dal 1995 in poi, la produttività si è fermata, in quanto l’Italia non è riuscita a fare quel salto di qualità che ha contraddistinto gli altri Stati europei.

Tutto questo ha portato insoddisfazione e sfiducia nel futuro: è ciò che emerge dall’indagine condotta dall’Osservatorio Futura per la Cgil (Confederazione generale italiana del lavoro). L’86% degli intervistati, infatti, avverte il forte divario degli stipendi e ritiene che essi non siano allineati alle medie europee. Il 59%, invece, li considera inadeguati per il costo della vita, sempre più alto, e per il tipo di lavoro svolto, visti anche gli orari generalmente più lunghi rispetto ad altri Stati; soltanto il 3% li ritiene giusti.

Le categorie più svantaggiate sembrano essere i pensionati e i dipendenti privati. In generale, comunque, il 37% ritiene di essere più o meno soddisfatto della propria retribuzione, mentre il 48% non lo è per niente. Inoltre, per 1 intervistato su 4 la situazione è destinata a peggiorare almeno per i prossimi 2 anni.

Ma quali sono i problemi che non permettono salari più alti? Primo fra tutti, la diffusione del part-time. Negli ultimi tempi, questa modalità di lavoro, anche se non richiesta, è letteralmente esplosa: riducendo le ore, quindi, si riducono anche gli stipendi.

L’economia non cresce, è stagnante, e porta all’immobilità degli stipendi e della produttività; manca, poi, una legge per il salario minimo. Inoltre, a causa dell’evasione fiscale, le tasse sono alte e gravano moltissimo sulle retribuzioni; infine, si fa sempre più fatica a rinnovare contratti in scadenza o già scaduti.

Siamo nell’era del cosiddetto “lavoro povero”: condizione per cui, pur lavorando, non si riesce a superare la soglia di povertà a causa delle retribuzioni davvero basse. A risentirne maggiormente sono i giovani. Per cercare di migliorare la situazione è fondamentale che l’aumento degli stipendi sia legato alla produttività, che non deve essere danneggiata; bisogna, infatti, apportare benefici e avere un impatto positivo sia per il lavoratore che per l’azienda.

È poi essenziale introdurre una legge sul salario minimo, dal momento che alcune retribuzioni sono lo specchio di un vero e proprio sfruttamento. Infine, anche la riduzione del cuneo fiscale, la decontribuzione e la detassazione sono tutti strumenti adatti per ridurre il costo del lavoro e, al tempo stesso, aumentare gli stipendi dei lavoratori.

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