Diritti

Elezioni Turchia: quando toccherà alle donne?

La Ong I Choose ha presentato 20 candidate, ma solo 4 hanno una chance. Eppure, il 62% degli intervistati dall’associazione crede che una componente politica femminile renderebbe il Paese migliore
Credit: EPA/FILIP SINGER
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
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11 maggio 2023 Aggiornato alle 21:00

60 milioni di elettori andranno al voto domenica 14 maggio per le elezioni presidenziali e parlamentari in Turchia. Nonostante le donne, qui, abbiano ottenuto le loro libertà politiche anche prima di altri Paesi europei e quelle votanti siano più numerose degli uomini, la partecipazione femminile alla politica è ancora molto bassa e questa fetta della popolazione ancora poco rappresentata.

La Ong I Choose, nota come Ben Secerim in Turchia, è stata fondata 2 anni fa per invertire la tendenza, cercare candidate idonee al Parlamento e raccomandarle ai partiti politici. Ma il presidente Nilden Bayazit, racconta Al Jazeera, è molto deluso quest’anno: delle 20 donne presentate da I Choose, che corrono per 4 partiti diversi, solo 4 hanno una reale possibilità di entrare nella Grande Assemblea Nazionale Turca. Dipende dalla natura del processo elettorale, che prevede che i voti per i partiti vengano assegnati ai candidati in base alla loro posizione nelle liste. Ma il muro per le donne c’è «anche nei partiti più liberali», ha spiegato Bayazit. Il che dimostra che «ci sono ancora molti blocchi nei confronti delle donne e che non vogliono cambiare le cose».

Eppure, la componente femminile in Turchia rappresenta il 50,7% dell’elettorato, il suffragio femminile nazionale è stato introdotto nel 1934 e, secondo il sondaggio Status of Women Politicians in Turkey and Prospects Research, condotto lo scorso anno da Ben Secerim e dalla società di sondaggi Konda, su 2.258 persone, per il 62% degli intervistati (71% donne e 54% uomini) le donne in politica aiuterebbero la Turchia a svilupparsi e a diventare una società migliore. Il 61% pensa che ci dovrebbe essere una quota femminile obbligatoria nei partiti, mentre solo il 23% non è d’accordo. Il 73% sosterrebbe una donna della propria famiglia a entrare in politica.

L’Akp, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo del presidente in carica, Recep Tayyip Erdogan, ha nominato 113 donne sui 600 candidati in Parlamento, mentre il Partito Popolare Repubblicano Chp, all’opposizione, il cui leader è Kemal Kılıçdaroğlu, ne ha selezionate 156: si tratta, rispettivamente, del 18,8% e del 26%. La percentuale del Partito dei Lavoratori della Turchia, invece, è la più alta: 40,5%.

Ma se si guarda alle donne che occupano i primi posti delle liste dei partiti, e che quindi potrebbero entrare in Parlamento, la situazione peggiora: il Chp le ha in soli 11 degli 87 distretti elettorali turchi, l’Akp 4, scrive Al Jazeera.

Bayazit spiega che «la questione delle donne in politica non è solo una questione di equa rappresentanza; una donna in politica è necessaria per una società democratica, per la giustizia, per risolvere il problema del clima, per porre fine alla corruzione, per trasformare le politiche educative e per regolare le politiche familiari». Gli abusi domestici, per esempio, sono stati centrali quando la Turchia si è ritirata dalla Convenzione di Istanbul sulla protezione delle donne dalla violenza, nel 2021: in migliaia hanno protestato, ma l’attivismo della società civile non è riuscito a tradursi in una partecipazione femminile alla vita politica dei partiti. Inoltre, in passato Erdogan ha definito le donne che non sono madri “mezze donne”, ha consigliato loro di avere almeno 3 figli e ha dichiarato che non possono essere trattate allo stesso modo degli uomini.

Ma si ritiene che le donne abbiano avuto un ruolo molto importante nell’ascesa di Erdogan: quelle conservatrici, in particolare, lo hanno sostenuto perché lo ritenevano una figura “liberatrice”, scrive Politico: i precedenti Governi laici le escludevano da scuole, università e luoghi pubblici se indossavano il velo. Una delle riforme fondamentali di Erdogan è stata quella di revocare il divieto decennale del velo islamista.

Quelle stesse donne, ora, potrebbero aver perso la fiducia in Erdogan e nel suo partito per via, appunto, di uno scarso interesse per i diritti delle donne e di una cattiva gestione dell’economia. In una recente analisi, la ong turca Social Democracy Foundation ha rilevato che più di un terzo delle elettrici dell’Akp potrebbe abbandonarlo: il sostegno al partito tra le donne turche, nel 2018, superava il 38%, ma stavolta potrebbe scendere a meno del 27%.

La femminista Gulsum Kav, della piattaforma We Will Stop Femicide, sostiene che il Governo non crede nell’uguaglianza sessuale e limita le libertà delle donne: alla Bbc ha spiegato che «vengono aggredite perché indossano i pantaloncini, le musiciste vengono minacciate di finire in prigione per il loro modo di vestire e le artiste vengono condannate per aver criticato un caso di violenza sessuale. Vogliono che le donne se ne stiano a casa e non facciano nulla. Ma le donne sono cambiate. Cambieranno anche la Turchia».

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