Bambini

Turchia: quei bambini salvati dopo giorni da sotto le macerie

Molti di loro sono troppo piccoli per conoscere il proprio nome, o così sotto shock da non riuscire a ricordarlo. In totale, si contano 5.000 orfani
I membri della squadra cinese di ricerca e soccorso lavorano tra le macerie a Kahramanmaras, Turchia, 13 febbraio 2023 (EPA/TOLGA BOZOGLU)
I membri della squadra cinese di ricerca e soccorso lavorano tra le macerie a Kahramanmaras, Turchia, 13 febbraio 2023 (EPA/TOLGA BOZOGLU)
Caterina Tarquini
Caterina Tarquini giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
13 febbraio 2023 Aggiornato alle 21:00

C’è un video, divenuto virale nelle scorse ore, che mostra le immagini dell’impianto di sorveglianza dell’ospedale di Gaziantep, in Turchia, registrate la notte del sisma. La telecamera installata nella sala di terapia neonatale riprende 2 infermiere che durante la scossa, invece di fuggire e tentare di mettersi in salvo, entrano nella stanza e cercano di tenere ferme le incubatrici e le macchine, per evitare che si rovescino a terra per le violente scosse.

È solo una delle tante storie di eroismo che stanno commuovendo il mondo. Ci sono anche quelle dei miracolosi salvataggi di alcuni bambini e neonati, estratti dalle macerie ancora in vita, dopo ore e ore di attesa. Un bambino di appena 7 mesi è sopravvissuto a oltre 140 ore - quasi 6 giorni - sotto le rovine prima di essere salvato nella notte tra sabato e domenica, nel distretto di Antakya, nella provincia meridionale di Hatay. Nel distretto di Nizip, i soccorritori hanno recuperato dalle macerie una bambina - di cui non è stata specificata l’età - dopo 146 ore. Un altro neonato, 2 mesi, è stato salvato dopo 128 ore. E poi una bambina di 2 anni, intrappolata per 122 ore sotto i resti dell’abitazione dove viveva con la sua famiglia.

Ma le storie di speranza che giungono dalla zona terremotata sono sempre meno, man mano che passa il tempo. In netta minoranza rispetto ai numeri drammatici e in continuo aggiornamento dei morti e dei feriti. Secondo i dati diffusi da Reuters, il numero delle vittime è salito per ora a 37.357, mentre almeno 89.926 persone hanno riportato ferite non mortali, e 1,3 milioni persone sono sfollate.

Un portavoce dell’Onu alcuni giorni fa ha detto che questi numeri potrebbero addirittura raddoppiare: «Penso che sia davvero difficile da stimare in modo molto preciso perché dobbiamo ancora scavare sotto le macerie, ma io sono sicuro che (il bilancio dei morti, ndr) raddoppierà o andrà ben oltre», ha detto ai microfoni di Sky News il responsabile dei soccorsi delle Nazioni Unite, Martin Griffiths.

Ma oltre ai morti e ai feriti, c’è un’altra tragedia nella tragedia. In totale si contano circa 5.000 bambini rimasti orfani, dopo il terremoto che ha devastato il sud della Turchia e parte della Siria.

La Bbc racconta di neonati, troppo piccoli per conoscere i loro nomi, o talmente sotto shock da non riuscire a ricordarli o a parlare. Sono bambini feriti o traumatizzati, condotti all’Adana City Hospital, uno dei pochi ospedali rimasti in piedi nelle vicinanze, che in queste ore si è trasformato in una sorta di enorme pronto soccorso. Tanti altri centri sanitari nella zona del disastro sono crollati o sono stati gravemente danneggiati: i bambini trasportati all’Adana spesso provengono da edifici crollati in altre regioni. Per esempio, diversi neonati sono stati portati lì d’urgenza, da un reparto maternità di un ospedale semidistrutto nella città di Iskenderun.

Secondo gli operatori sanitari dell’ospedale - riporta l’emittente britannica - nell’area del disastro si contano almeno 260 bambini feriti ancora da identificare. Un bilancio provvisorio, destinato probabilmente ad aumentare man mano che i soccorsi proseguono e il numero degli sfollati sale.

Il personale sanitario cerca, nel mentre, di ricostruire l’identità dei bimbi in base agli indirizzi di provenienza: sui social vengono postate le foto dei bambini ancora dispersi, fornendo informazioni sul domicilio e persino sul piano dell’edificio in cui abitavano. Nella speranza di poterli ritrovare ancora in vita.

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