Diritti

Pulitzer: vince anche l’aborto di Caroline Kitchener

La Columbia University ha consegnato i riconoscimenti più prestigiosi del mondo del giornalismo. Trionfano i reportage dell’Ap che raccontano l’invasione russa e l’inchiesta del Wp dedicata agli Usa post Roe v. Wade
La reazione di Caroline Kitchener dopo la vittoria del premio Pulitzer
La reazione di Caroline Kitchener dopo la vittoria del premio Pulitzer Credit: EPA/BILL O'LEARY
Chiara Manetti
Chiara Manetti giornalista
Tempo di lettura 4 min lettura
9 maggio 2023 Aggiornato alle 18:00

Un uomo guarda gli edifici distrutti durante gli attacchi russi a Borodyanka, nella periferia di Kyiv. Una donna incinta viene trasportata su una barella fuori da un ospedale bombardato a seguito di un attacco russo. Queste e altre fotografie realizzate da reporter e fotografi dell’Associated Press hanno vinto 2 delle categorie dei Premi Pulitzer 2023, annunciati lunedì 8 maggio dalla Columbia University.

L’agenzia di stampa internazionale statunitense ha ricevuto il riconoscimento più importante, quello per il servizio pubblico, per il lavoro di Mstyslav Chernov, Evgeniy Maloletka, Vasilisa Stepanenko e Lori Hinnant a Mariupol. Il team di giornalisti ha testimoniato “il massacro di civili durante l’invasione russa dell’Ucraina”. Chi conquista questo premio riceve una medaglia d’oro. L’altro riconoscimento all’Ap, Breaking News Photography, è andato al team di fotografi “per le immagini ‘uniche e urgenti’ delle prime settimane dell’invasione russa dell’Ucraina, compresa la devastazione di Mariupol”.

Tra gli altri vincitori della 107° edizione dei Premi Pulitzer, il Los Angeles Times per aver rivelato una conversazione razzista tra i funzionari della città; una giornalista del quotidiano con sede in California, Christina House, ha vinto anche un premio per “uno sguardo intimo sulla vita di una donna incinta di 22 anni che vive per strada in una tenda”.

Il New York Times ne ha ricevuti due, uno per International Reporting e per Illustrated Reporting and Commentary, rispettivamente per la copertura dell’invasione ucraina e per le illustrazioni che combinano rapporti statistici e analisi approfondite che aiutano i lettori a comprendere la ricchezza e il potere economico del fondatore di Amazon Jeff Bezos.

Caitlin Dickerson dell’Atlantic ha vinto per l’approfondimento sulle politiche dell’amministrazione Trump riguardo ai bambini migranti, separati con la forza dai loro genitori. Anna Wolfe del Mississippi Today, ha rivelato come un ex governatore dello Stato abbia utilizzato il suo ufficio per indirizzare milioni di dollari del welfare statale a beneficio della sua famiglia e dei suoi amici.

Per la categoria National Reporting la giornalista Caroline Kitchener del Washington Post ha vinto grazie alle sue inchieste sulle “complesse conseguenze della vita dopo Roe v. Wade, inclusa la storia di un’adolescente del Texas che ha dato alla luce 2 gemelli dopo che nuove restrizioni le hanno negato l’aborto”. Il primo pezzo della serie di Kitchener risale a pochi giorni prima della decisione della Corte Suprema Usa del 24 giugno 2022: perché la giornalista ha iniziato a mobilitarsi dalla fine del 2021, quando la Corte ha consentito l’entrata in vigore di divieto di aborto in Texas che limitava la pratica alle prime 6 settimane di gravidanza.

All’inizio del 2022 Kitchener, laureata in storia e studi di genere e sessualità a Princeton nel 2014, aveva già passato mesi a documentare come questa norma avesse colpito le donne incinte e i loro medici: era solo un’anteprima di ciò che sarebbe accaduto in gran parte del Paese dopo l’annullamento di Roe. 4 giorni prima della sentenza Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, il quotidiano statunitense ha pubblicato la storia di Brooke Alexander, madre diciottenne di 2 gemelli.

Ha scoperto di essere incinta quando aveva ampiamente superato la finestra consentita dalla legge texana, al tempo la più severa degli Stati Uniti. L’inchiesta ha fatto emergere anche il ruolo dei Crisis Pregnancy Centers, strutture che si presentano come cliniche di salute riproduttiva legittime che forniscono assistenza alle donne incinte, ma in realtà mirano a dissuadere le persone dalle cure per l’aborto e dalle opzioni contraccettive.

Il lavoro di Kitchener “ha messo le persone al centro della questione”, spiega il Washington Post, concentrandosi su quelle più colpite dalla sentenza della Corte Suprema. La giornalista ha raccontato anche la rete segreta che forniva pillole abortive a chi ne aveva bisogno, e la storia di Monica, che ha descritto il dolore e i traumi vissuti dalle donne “costrette ad auto-somministrarsi un aborto da sole e senza accesso alle cure mediche, temendo che un viaggio al pronto soccorso potesse portarle in prigione”.

Un lavoro doloroso quanto necessario, quello di Kitchener. Che sta diventando ancora più essenziale, un anno dopo il ribaltamento della sentenza che consentiva il diritto all’aborto alle donne americane.

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