Ambiente

Caso orsa Jj4: e con gli altri selvatici (e non solo) che si fa?

La presenza dei “predatori” in Italia è destinata ad aumentare. E mentre le Regioni non sono disposte ad accogliere i plantigradi in eccesso di Fugatti, vien da pensare: specie aliene, lupi, cinghiali, come comportarsi?
Credit: ildolomiti.it.
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20 aprile 2023 Aggiornato alle 15:00

Da noi, se ci pensiamo bene, è spesso ciò che è infinitamente piccolo a darci problemi: dai batteri come la Xylella fastidiosa, che ha ucciso 20 milioni di alberi di ulivo e devastato l’economia del Salento, fino alle piccole specie aliene, come insetti o organismi marini che dai campi all’acqua salata compromettono raccolti o pesca. Eppure, complice anche la narrazione costruita intorno a loro, sono quasi sempre i grandi predatori a farci più paura.

L’Italia non ne ha molti. Ci sono gli orsi, quelli dell’arco alpino (un centinaio) e quelli marsicani in Abruzzo, Lazio e Molise (una sessantina e a rischio estinzione). Poi i lupi: negli anni ‘70, a causa di caccia e politiche contro il “lupo cattivo”, ne restavano poco più di un centinaio, mentre oggi sono più 3.000 lungo tutto l’arco Appenninico e non solo.

E poi, meno noti, pronti a cibarsi di carcasse ma anche ghiotti di granturco e coltivazioni, gli sciacalli dorati: quasi 300 quelli nello Stivale, arrivati tempo fa dai Balcani, e oggi concentrati soprattutto in Friuli Venezia Giulia. A fatica, inoltre, sull’arco alpino stanno tornando le linci.

Escluse sporadiche predazioni di lupi e orsi, che a volte si avvicinano a pollai, allevamenti, case e insediamenti urbani (attirati soprattutto da possibili fonti di cibo), l’avanzata dei predatori in Italia non si può dire che stia realmente creando un esteso “conflitto” con l’essere umano, se non in precisi territori dove una difficile convivenza è in atto da tempo; dove, però, esistono anche regole (come i risarcimenti per gli animali da allevamento predati).

È decisamente più impattante l’azione delle persone sugli animali selvatici: abbiamo tolto loro spazio, privandoli di habitat; con la crisi del clima innescata dalle nostre emissioni abbiamo mutato gli equilibri degli ecosistemi in cui vivono e lo stesso vale per i danni creati da pesticidi, sovrapesca, caccia, inquinamento ambientale e altri fattori da noi scatenati, che oggi mettono in crisi tutte le specie (umana compresa).

Eppure, come sta già accadendo, il “contatto” fra noi e i predatori d’Italia è destinato ad aumentare. Gli esperti concordano che, con l’avanzare della superficie boschiva, anche visto l’abbandono di montagne e foreste che ormai sono superiori alla superficie agricola, i predatori stanno trovando il modo di ripopolarsi in zone meno abitate dagli esseri umani.

I progetti del passato, come il Piano Lupo o Life Ursus, puntavano a questo: dare una chance agli animali, tenere in equilibrio numeri e proporzioni degli ecosistemi che una cinquantina di anni fa stavano sparendo e che oggi sono tornati, portando però anche una nuova paura.

Una paura (spesso ingiustificata dato che sono loro a temerci di più) che aumenta con l’avanzata dei territori dove il selvatico può muoversi e prosperare, ma anche con l’allargamento delle periferie, oggi più urbanizzate e a ridosso di luoghi vissuti dagli animali.

Il caso dell’orsa Jj4, ora rinchiusa nel recinto del Casteller e in attesa di verdetto (la decisione del Tar è prevista per l’11 maggio), è un caso limite: la tragedia, con la morte del runner Andrea Papi ucciso dall’animale, ha rilanciato un dibattito che riguarda soprattutto i territori montani.

Il presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti spiega di avere «70 orsi in eccesso. Il ministero dell’Ambiente ci dica dove trasferirli o ci autorizzi ad abbatterli». Ma gli altri governatori sembra non essere disposti ad accoglierli: «Se il progetto non ha funzionato da lui, non vedo perché dovrebbe funzionare da me», ha dichiarato Arno Kompatscher, governatore dell’Alto Adige; «Sì al trasferimento ma non da noi, abbiamo già un numero spaventoso di lupi» ha spiegato Fabio Carosso, vicepresidente del Piemonte con delega alla Montagna. E Fugatti continua: «Il progetto Life Ursus deve tornare ai numeri originari, non più di 50 orsi per il Trentino. Noi oggi ne contiamo più di 100. Si tratta di un numero insostenibile per il nostro territorio».

Tutto il Paese ha preso parte per dire la sua. Sarebbe molto interessante, però, se questo dibattito non si fermasse ai post social di turno, ai “viva l’ orsa”, ma diventasse uno spunto (per la politica e la scienza) per farci riflettere riguardo il futuro e prendere le giuste precauzioni.

Se è vero che è necessario ragionare anche sui predatori, sarebbe importante anche cominciare a discutere degli animali che prolificano (come i cinghiali, passata la paura della suina se ne discute pochissimo), delle nutrie, delle specie invasive che popolano i mari (vedi l’alga Caulerpa) e che potrebbero, se non gestite, portare alcuni ecosistemi ed economie al collasso.

In Italia ci sono oltre 3.000 specie aliene, aumentate di quasi il 100% negli ultimi 30 anni. In Europa, i danni di questi “invasori” ammontano a 12,5 miliardi di euro l’anno. Oltretutto (e lo abbiamo già sperimentato con il Covid, anche se rimango incertezze relativamente all’origine) la relazione sempre più stretta tra essere umani e animali selvatici può portare a pandemie, malattie e salti di specie, capaci di sconvolgere le nostre e le loro vite.

Ecco perché, oltre ad avere un occhio attento ai predatori ingiusti simboli di aggressività della nostra infanzia (come l’orso feroce, il lupo cattivo) oggi l’urgenza dovrebbe essere prendere il dibattito in corso e trasformarlo nel futuro rapporto tra noi e il selvatico, ma che sia visto da entrambi i lati. E con la lente di ingrandimento.

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